In un dossier diffuso due giorni fa, Legambiente punta il dito contro gli incentivi di Stato ai combustibili fossili, quantificati in circa 12 miliardi di euro nell’ultimo anno. È la risposta della principale associazione ambientalista italiana alle polemiche sul costo eccessivo dell’energia in Italia, che secondo diversi osservatori dipenderebbe dai costosi incentivi alle fonti rinnovabili. Il ministro dello sviluppo economico, Flavio Zanonato, non ha tardato a dire la sua, accusando Legambiente di sommare le mele con le pere. Nel totale dei 12 miliardi, infatti, quasi la metà deriverebbe da incentivi indiretti riportati alla voce “autotrasporto”. Si tratta, in pratica, di oltre 2 miliardi di euro spesi per la rete stradale e autostradale; altri 2 miliardi circa di riduzioni ed esenzioni dell’accisa sul carburante; 130 milioni di riduzioni sulle assicurazioni auto; altri 120 milioni di sconti sui pedaggi autostradali; oltre a quasi mezzo miliardo di altri fondi di sostentamento al settore dell’autotrasporto.
Che c’entra l’autotrasporto con gli incentivi ai combustibili fossili? C’entra, sostiene Legambiente, perché invece di finanziare le reti ferroviarie, tramviarie e metropolitane, il governo incoraggia l’uso dell’auto privata, contribuendo all’aumento delle emissioni inquinanti. Il ministro Zanonato ha replicato su Twitter ricordando che sulle autostrade viaggiano anche i mezzi che permettono alle pale eoliche e ai pannelli solari di arrivare a destinazione ed essere installati; il presidente di Legambiente, Vittorio Cogliati Dezza, ha a sua volta ribattuto che il trasporto di questi materiali potrebbe avvenire con navi e treni invece che con gli autocarri.
Affermazioni, in entrambi i casi, piuttosto semplicistiche, cosa del resto inevitabile quando si discute di questioni complesse su un social network che limita gli interventi a 140 caratteri (ma i due contendenti si sarebbero accordati per discuterne al Forum dell’Energia in programma a Roma questa settimana). Ma che toccano un punto cruciale nel dibattito sull’ambientalismo e sullo sviluppo economico. Attaccare un governo in quelle poche cose buone che gli si possono concretamente attribuire – interventi, peraltro estremamente blandi, per la riduzione dell’accise, della RC Auto, dei pedaggi, e fondi per il completamento di infrastrutture stradali e autostradali – è un pericoloso autogoal che rischia di alienare a Legambiente il consenso dei milioni di italiani che invece al governo chiedono proprio interventi come questi.
Il rischio concreto è che l’ambientalismo finisca per arroccarsi sempre di più su posizioni che qualcuno definirebbe “luddiste”. Per fare un esempio, la reazione positiva a una notizia come quella secondo cui l’anno scorso in Italia si sono vendute più biciclette che auto non deve portare a sottovalutare o ignorare una serie di problemi che questo dato comporta, come le decine di migliaia di lavoratori dell’industria automobilistica licenziati o in cassa integrazione, o – in un’ottica più ampia – il fatto che il sorpasso della bicicletta si spieghi non con un’improvvisa impennata di ecologismo nei cittadini italiani, ma con l’impossibilità di molti giovani di potersi permettere un’autovettura visti i costi proibitivi di carburante (e, in alcune città, di assicurazione). Lo sviluppo delle ferrovie e delle metropolitane è indispensabile per la modernizzazione dell’infrastruttura italiana ed è il vero e unico, concreto incentivo a non acquistare un’automobile. Ma non si può nemmeno pretendere che la consegna delle merci avvenga esclusivamente con treni e navi. Strade e autostrade sono insomma necessarie e indispensabili per l’Italia. Se 2,5 miliardi di euro servono a realizzare l’ampliamento di un’autostrada, la riduzione della sua tratta o il miglioramento del manto stradale, con la conseguenza di ridurre i tempi di marcia e di conseguenza i consumi, non è questo un vantaggio in termini di riduzione delle emissioni inquinanti, piuttosto che un incentivo, ancorché indiretto, all’economia dei combustibili fossili?
Le scelte individuali di ciascuno non devono, insomma, trasformarsi in ricetta per l’economia sostenibile. Se un cittadino decide di lasciare l’auto a casa e recarsi al posto di lavoro con la bicicletta, approfittando magari dell’interscambio con una metropolitana (dotata, perché no, di vagone per il trasporto delle biciclette), non significa che il governo – comunale, regionale, statale – debba lasciar andare in malora la strada che prima il cittadino era solito prendere con la sua auto per raggiungere il posto di lavoro. E quando il cittadino vorrà andare a trovare i suoi vecchi parenti che abitano in un paesino sull’Appennino, forse vorrà prendere l’auto invece che cambiare due o tre treni. Dopotutto, è un suo diritto.
Lo sviluppo economico e infrastrutturale dell’Italia non passa necessariamente per la costruzione di nuove autostrade; ma nemmeno fermare i lavori è una buona idea. Al convegno “Italia 2050” organizzato dall’Italian Institute for the Future a Napoli lo scorso 16 novembre, a cui ha preso parte anche il presidente di Legambiente, Cogliati Dezza, abbiamo parlato a lungo di questo tema. Gli incentivi alle rinnovabili pesano, è vero, nelle bollette degli utenti. Sono un disincentivo allo sviluppo? Può anche darsi. Certamente lo sviluppo che l’Institute for the Future incoraggia non è uno sviluppo alimentato da combustibili fossili. Ma non segue nemmeno il modello della decrescita felice à la Latouche. Presentando qualche giorno fa il libro di Elio Cadelo e Luciano Pellicani Contro la modernità. Le radici della cultura antiscientifica in Italia (ed. Rubettino), ho discusso con gli autori della loro tesi secondo cui molti ecologisti (non ambientalisti, si badi bene, precisa Pellicani) sarebbero oggi i veri nemici della cultura scientifica, dal momento che rifiutano lo sviluppo tecnologico e sostengono soluzioni che guardano al passato. È una tesi un po’ estrema, ma in parte condivisibile. Non compia, l’ambientalismo, l’errore di ritenere che le soluzioni allo sviluppo insostenibile del nostro pianeta siano da ricercarsi nel passato: nei mulini a vento invece della benzina, nelle biciclette invece delle auto. Le soluzioni si trovano nel futuro, è da lì che dobbiamo andarle a prendere per rendere lo sviluppo sostenibile il nostro presente concreto.