Dall’inizio del 2009 a oggi, un’ondata senza precedenti di investimenti si è riversata sul settore agricolo in America Latina, nel Sud-est asiatico e soprattutto in Africa. Gli accordi sono stati negoziati tra governi e investitori, la terra è passata di mano; le colture sono state impiantate.
Basta fare un giro per le campagne etiopiche verso la Rift Valley per vedere il risultato di questo nuova corsa alla terra: serre modernissime, iper-tecnologiche, in cui vengono coltivati prodotti alimentari. Prodotti che vengono poi inscatolati, messi su un camion, caricati su un aereo ed esportati nel Golfo persico.
Il primo elemento di criticità di questi accordi è proprio questo: le produzioni che scaturiscono da questi accordi sono spesso incentrate alla pura esportazione, anche quando tali accordi vengono stretti in paesi che hanno seri problemi di sovranità alimentare – come la stessa Etiopia, parte della quale è sotto il morso della siccità e per questo riceve aiuti umanitari dall’esterno. Investitori stranieri sono stati accolti a braccia aperte, in modo che producano su terre etiopiche (ma anche congolesi, tanzaniane, mozambicane, ecc.) prodotti destinati ad altri paesi. Il secondo elemento di criticità è che queste terre sono affittate in cambio di canoni irrisori. L’ansia di attirare investimenti esteri ha spinto questi paesi a fare una vera e propria asta al ribasso, mettendosi in competizione tra loro: così in Mozambico le terre vengono affittate per un dollaro annuo all’ettaro; in alcune zone dell’Etiopia, come la remota ma ricchissima d’acqua Gambella, il canone è di 0,5 dollari annui all’ettaro. La Repubblica centrafricana, paese dalla posizione infausta incuneato al centro del continente lontano da ogni sbocco al mare, ha deciso di offrire a chi si avventurasse a investire nelle terre un canone gratuito per i primi 25 anni. Il terzo elemento di criticità è che, nello stringere tali accordi, il governo centrale non tiene in alcun conto le necessità di chi su quelle terre sta, o che quelle terre usa (in Africa il regime di diritto fondiario è per lo più basato sulla consuetudine, la proprietà della terra essendo in gran parte dei casi pubblica), provocando quindi lo spostamento coatto di agricoltori o la deviazione forzata dei tragitti di spostamento di pastori nomadi.