In copertina: © Novus Lab.
Progettare scenari futuri attraverso il design: questo è ciò che propone l’approccio del design fiction declinato ai futures studies. Come sostiene la sociologa Wendy Griswold (2005), i device, i manufatti e artefatti non sono altro che oggetti culturali di una data società, «un significato condiviso incorporato in una forma» nei quali gli utenti proiettano dei valori. Il design fiction esplora quindi scenari possibili, probabili, plausibili, attraverso l’invenzione, progettazione e, in alcuni casi, anche prototipazione di oggetti che potrebbero esistere in un vicino o lontano futuro.
Il termine design fiction è stato coniato per la prima volta nel 2005 dallo scrittore di fantascienza statunitense Bruce Sterling nella sua opera Shaping Things, in cui parla della differenza tra design fiction e science fiction:
La narrativa del design fiction è molto simile alla fantascienza; infatti, non verrebbe mai in mente a un normale lettore di separare le due. La distinzione principale è che il design fiction ha più senso della fantascienza. La fantascienza vuole invocare la grandiosità e la credibilità della scienza per i propri giochi di prestigio [narrativi, N.d.T.], ma il design fiction può essere più pratico, più terra-terra. Sacrifica un po’ di sense of wonder, ma si avvicina molto più al calore incandescente del conflitto tecnosociale. (Sterling, 2005; cfr. anche Mattera, 2018)
Dieci anni più tardi, nel corso di diverse interviste, Sterling rilascia una definizione più specifica e tecnica di design fiction come «l’uso deliberato di prototipi diegetici per sospendere l’incredulità sul cambiamento». Con il termine di “prototipi diegetici” l’autore si riferisce alla sfera semantica dei film studies, da cui riprendo fedelmente la definizione di diegesi tratta dall’Enciclopedia del Cinema Treccani, che con diegetico (o intradiegetico) intende «tutto l’insieme dei segni, eventi, elementi che appartengono allo sviluppo della finzione narrativa e della messinscena visiva o che in esso vengono presupposti, e per extradiegetico tutto ciò che esula dall’universo visuale e finzionale, pur contribuendo a comporre l’opera filmica (per es., la musica di commento alle immagini)» (cfr. anche Rondolino e Tomasi, 1996). È indispensabile quindi stabilire un patto con lo spettatore/lettore attraverso la “sospensione dell’incredulità” al fine di rendere credibile e plausibile un dato oggetto prodotto per quel determinato mondo finzionale, che sarà coerente e portatore di una serie di significati.
Anche David Kirby, docente dell’Università di Manchester, nel suo saggio The Future is Now. Diegetic Prototypes and the Role of Popular Films in Generating Real-world Technological Development, parla di come prototipi diegetici mostrino al grande pubblico «un bisogno, la fattibilità e la benevolenza di una tecnologia» (Kirby, 2010). Questo è un aspetto centrale del design fiction: attraverso l’esistenza e l’uso di oggetti non esistenti nella realtà, ma iperreali nel contesto finzionale narrativo, si possono far esplorare agli spettatori scenari e pianificazioni di futuri, tecnologie esponenziali facilmente fruibili e concepibili, che sono difficilmente immaginabili in astratto.