Durante le prime fasi dell’escalation bellica in Ucraina Dimitry Rogozin, direttore generale di Roscosmos, ha espresso senza mezzi termini la posizione dell’Agenzia Spaziale Russa nei confronti delle sanzioni con cui l’occidente ha reagito al conflitto sul suolo ucraino. Tra le altre esternazioni via social, Rogozin ha invocato la revoca delle sanzioni imposte alla Russia paventando lo spettro dell’interruzione del funzionamento delle navicelle russe che riforniscono la Stazione Spaziale Internazionale (ISS) come conseguenza delle misure di pressione economica contro Mosca. Tale circostanza avrebbe interessato il segmento russo della Stazione da cui dipende la correzione dell’orbita dell’avamposto umano nello spazio, così ridotto a bieco mezzo di intimidazione: dalle parole del responsabile di Roscosmos si deduceva infatti non solo che la più grande esperienza di collaborazione nello spazio sarebbe giunta al termine, ma anche che lo spegnimento delle componenti russe legate alla ISS avrebbe potuto causare lo schianto della stazione su suolo europeo o statunitense.
Abbiamo poi assistito alle desolanti immagini degli addetti allo spazioporto di Baikonur intenti a coprire le bandiere dei Paesi partner del programma Soyuz. Con quel gesto, la Russia ha voluto porre simbolicamente fine, auspicabilmente in via provvisoria, a più di cinquant’anni di collaborazione e sforzo comune per raggiungere lo spazio a beneficio di tutta l’umanità.
Con tali premesse, più di una voce ha sollevato un ulteriore preoccupante interrogativo legato proprio alla Stazione Spaziale Internazionale, nella triste ironia del suo ambivalente ruolo nella nuova situazione di deterioramento delle relazioni intergovernative, in cui si è trovata a essere contemporaneamente oggetto di minaccia e unica occasione non interrotta di pacifica coesistenza e collaborazione a livello statale tra la Russia e le altre nazioni coinvolte nel progetto. Una volta accertata la mancanza di ogni concreto fondamento delle allusioni alla possibilità di un rientro incontrollato della ISS, infatti, l’attenzione si è immediatamente concentrata sull’equipaggio a bordo della Stazione in orbita attorno alla Terra. In particolare, da più parti si è levata una comprensibile preoccupazione intorno al rientro dell’astronauta statunitense Mark Vande Hei dai 355 giorni di missione che gli sono valsi il primato USA in termini di permanenza nello spazio. La preoccupazione nasceva dalla circostanza che il rientro dell’astronauta sarebbe avvenuto per mezzo della navetta russa Soyuz la quale, in aggiunta, al termine del viaggio di rientro atterra su controllo di Roscosmos nel territorio del Kazakhstan.