È ormai da tempo che numerosi studiosi e osservatori di tutto il mondo si stanno premurando di sottolineare la necessità di più rapidi ed efficaci adattamenti del mercato del lavoro ai mutamenti tecnologici, prefigurando possibili scenari futuri e partendo dal presupposto che il problema della sostituzione uomo/macchina debba essere affrontato alla luce del fatto che lo sviluppo e l’innovazione, connaturati all’essere umano, sono inevitabili e, più che ostacolarli e temerli, bisognerebbe governarli con razionalità abbandonando il classico modo di intendere il lavoro (cfr. Prisco, 2017).
Seminale al riguardo è stato il report 2015 della Oxford Martin School – Citi GPS a cura di Carl Benedikt Frey e Michael A. Osborne dal titolo Technology at Work. The Future of Innovation and Employment che analizza, rispettivamente, la mutevole natura dell’innovazione; la tecnologia al lavoro; la tecnologia del XXI secolo; il mondo del lavoro nel XXII secolo; i rischi e le opportunità della trasformazione digitale e l’adattamento al cambiamento tecnologico – itinerari e strategie. Il report indica nell’automazione la key driver della crescita della produttività, intesa come quantità di output prodotti per lavoratore, che a sua volta condurrebbe a una crescita dell’economia nel lungo periodo.
Frey e Osborne, inoltre, sostengono che il sempre più rapido sviluppo tecnologico comporterà entro il 2030 la sostituzione del 47% della forza lavoro statunitense, in quanto computer e robot renderanno superfluo il lavoro umano e più diffusa la disoccupazione tecnologica keynesiana, intesa come progressiva rimozione dell’uomo dal mercato del lavoro e dalla sua sostituzione con macchine più efficienti.
Le previsioni in UE e USA
Gli effetti delle rivoluzioni in atto appaiono molto evidenti, come sottolineano i dati raccolti dalla Commissione Europea secondo i quali si stima che il 27% circa delle nuove posizioni lavorative risultano scoperte per l’assenza di candidati qualificati, ovvero già nel 2020 l’Europa avrà bisogno di almeno 900.000 professionisti del digitale (Commissione Europea, 2013).
Anche nel più recente Libro Bianco sul Futuro dell’Europa, la Commissione Europea pone l’accento sulla necessità di modernizzare i sistemi di protezione sociale al fine di renderli in grado di tenere il passo con le nuove realtà demografiche e lavorative. Ciò appare maggiormente importante considerando che l’Europa è alle prese con una profonda informatizzazione della società che rende sempre meno nette le distinzioni tra dipendenti e lavoratori autonomi, tra beni e servizi, tra consumatori e produttori. In questo contesto, le nuove sfide provenienti dalla tecnologia e dall’automazione incideranno e riguarderanno sempre più, in maniera trasversale, tutte le professioni e i lavoratori. La Commissione Europea, pertanto, suggerisce di investire su nuove competenze, ripensando i sistemi di istruzione e puntando sull’apprendimento permanente, nonché introducendo nuovi diritti sociali per accompagnare in maniera adeguata l’evoluzione del mondo del lavoro (Commissione Europea, 2017).
Altre importanti riflessioni e spunti originali sono contenuti nell’ultimo rapporto pubblicato nel maggio scorso dal think tank Pew Research Center in collaborazione con la Elon University dal titolo The Future of Jobs and Jobs Training. Il rapporto si prefigge come obiettivo quello di descrivere un sentiment, più che pretendere di dare una risposta definitiva alle problematiche oggetto della ricerca. A tal proposito, il gruppo di lavoro ha coinvolto 1.408 tra esperti, addetti del settore e accademici che hanno espresso le proprie aspettative e preoccupazioni sugli ipotetici scenari configurabili nel 2026 a partire da cinque differenti panel la cui riflessione si è svolta attraverso la sottoposizione di quesiti sul tema.
Ad esempio, alla domanda «ritiene che rappresenti un’emergenza l’attivazione di nuovi piani formativi destinati a un grande numero di lavoratori per insegnare loro le abilità di cui avranno bisogno per i lavori del futuro?», sette su dieci hanno risposto in maniera affermativa. Appare condivisa, poi, da parte degli intervistati, la consapevolezza della necessità di mettersi al passo con la grande rivoluzione in atto del mercato del lavoro. Tra le affermazioni più interessanti, si fa presente la risposta dell’imprenditrice Jennifer Zickerman per la quale «il problema del lavoro nel futuro non riguarda la formazione, ma la diminuzione del lavoro stesso», e di Jonathan Grudin, ricercatore per Microsoft, che appare più ottimista affermando: «Saranno le persone a creare il lavoro del futuro». Più pessimista è, invece, Charlie Firestone, vice presidente dell’Aspen Institute, per il quale «la perdita di posti di lavoro dovuta all’intelligenza artificiale e alla robotica eccederà ogni tentativo di formare i lavoratori, almeno nel breve periodo». E non è mancato chi, preferendo l’anonimato, ha risposto con una contro domanda particolarmente caustica: «Seriamente? Ci state facendo domande sulla forza lavoro del futuro? Siamo sicuri che ce ne sarà una?» (cfr. Grizzuti, 2017).
Lo scenario di De Masi
In Italia, la riflessione sull’impatto dell’automazione sul mondo del lavoro è stata introdotta dal noto sociologo Domenico De Masi, a partire dal suo libro dal titolo provocatorio Lavorare gratis, lavorare tutti. Perché il futuro è dei disoccupati (2017). De Masi intraprende il suo ragionamento facendo riferimento al saggio della francese Viviane Forrester Horreur économique, che collega l’“orrore economico” al fatto che la nostra ricchezza, il nostro prestigio, le opportunità, le tutele, ecc. derivino sempre più dal nostro lavoro, sottolineando, però, come oggi ciò venga negato a un numero crescente di individui (Forrester, 1996). La disoccupazione non apparirebbe, dunque, effetto di una crisi economica passeggera e, anzi, afferma De Masi, non è detto che se questa passasse cesserebbe o diminuirebbe la disoccupazione. Ci troviamo, invece, di fronte a un cambiamento epocale nel quale si riescono a produrre sempre più beni e servizi con meno lavoro umano, «un capolavoro del capitalismo» che riesce a sopravvivere tramutando la rabbia in rassegnazione e assicurando, così, pace al sistema. Il sociologo ricorda anche l’emblematico episodio del 2011, quando il computer Watson gareggiò e vinse contro due campioni di un quiz americano Jeopardy!. Uno dei due perdenti commentò così la sconfitta con un’osservazione squisitamente sociologica: «Io più di tutti do il benvenuto ai nostri nuovi dominatori, i computer!».
Sul piano delle proposte, De Masi si premura di mostrare innanzitutto la sua entusiastica fiducia nei confronti delle macchine – meccaniche, elettromeccaniche, digitali – perché presentano un condensato di intelligenza umana che ha permesso all’uomo di affrancarsi dalle grandi sfide che la natura da sempre porta con sé: fame, fatica, malattia, morte e anche solitudine. Ritiene, però, necessario adottare criteri nuovi per redistribuire in modo equo il lavoro e la ricchezza, laddove il nostro modello di vita incentrato sul lavoro come perno dell’identificazione sociale dovrebbe cedere il passo ad un modello del tutto inedito basato sulla valorizzazione del tempo liberato. E ai disoccupati De Masi prospetta la possibilità di abbandonare il posto occupato in ultima fila nella cabina di regia della società post- industriale e di farsi guida della nuova società.
Per rendere realizzabile tale ipotesi, De Masi prospetta 11 fasi e, tra le più significative, segnaliamo: l’elaborazione di un modello di società non più monopolizzato dal lavoro ma dalla vita nella sua interezza; un più concreto investimento nella scolarizzazione, ricerca e sviluppo; la lotta all’overtime; il costante monitoraggio delle skills dei disoccupati per orientarli in maniera più adeguata verso il lavoro più adatto alla loro vocazione e in funzione dei nuovi posti creati; la pianificazione dell’introduzione di un salario minimo o del reddito di cittadinanza; la riduzione dell’orario di lavoro o una sua più corretta ripartizione; l’acquisizione di dati statistici tempestivi sul mercato del lavoro. Solo in tal modo, attraverso un’azione individuale e collettiva, i disoccupati potranno trasformare la loro disperazione in movimento per la costruzione di un mondo nuovo in cui le differenze non degenerino in disuguaglianze e la crescita economica e sociale non avvenga a scapito della crescita personale e sociale (De Masi, 2017).
Il sociologo del lavoro sembra riproporre, dunque, il rimedio alla disoccupazione già avanzato da Keynes che consigliava di introdurre: «turni giornalieri di tre ore e settimana lavorativa di quindici ore», affermando di fatto il principio lavorare gratis, lavorare tutti «affinché il poco lavoro che ancora rimane sia distribuito fra quanta più gente possibile». Bisogna, però, osservare che le riduzioni di orario imposte per via normativa a interi sistemi produttivi adottate in Paesi come la Francia (nel 1982 e nel 1998) e la Germania (negli anni tra il 1984 e il 1994) non sembrano aver portato agli effetti sperati. Anzi, come è stato sostenuto in numerosi studi, in alcuni casi hanno persino finito per provocare un incremento della disoccupazione, dal momento che, per poter mantenere lo stesso livello di retribuzione mensile, lavoratori e sindacati avevano negoziato un salario orario più elevato, determinando così un incremento del costo del lavoro dell’azienda che finiva per licenziare o sostituire i lavoratori con manodopera meno qualificata e meno costosa; in altri casi hanno provocato un incremento dei secondi lavori o del lavoro nero e, complessivamente, nessun miglioramento delle condizioni di lavoro per i lavoratori (cfr. Hunt, 1999; Estevão e Filipa, 2006).
Lo smart working
In Italia, il dibattito parlamentare si sta al momento concentrando sulla definizione della normativa di sostegno dello smart working quale modalità flessibile di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato reso più agevole dalle nuove tecnologie disponibili, in parte all’interno dei locali dell’azienda, in parte all’esterno senza postazione fissa, entro i soli limiti di durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale, derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva. Si prende così atto che gli inarrestabili cambiamenti in corso, che incidono su imprese e lavoro, non sono solo di tipo economico, ambientale e geo-politico ma che anche gli stili di vita, le preferenze, le esigenze personali e professionali, in particolare dei cosiddetti millennials, sono in rapida evoluzione. Diventa, pertanto, indispensabile puntare non più su un posto di lavoro per tutta la vita, ma neanche prevedere un unico luogo di lavoro durante lo stesso rapporto di lavoro, e neppure un orario fisso. Inoltre, la mobilità e il cambiamento di occupazione non dovrebbero essere più visti in negativo, ma come un passaggio spesso obbligato per acquisire nuove e maggiori competenze grazie anche alle tecnologie di nuova generazione in grado di offrire nuove opportunità professionali e occupazionali. A tal proposito c’è chi afferma che «ci troviamo, quindi, in uno scenario nel quale il lavoro è già agile, prima ancora che una legge lo riconosca» (Dagnino e Tiraboschi, 2017).
Pur non potendo in questa sede analizzare compiutamente l’argomento, appare necessario soffermarsi su alcuni spunti di riflessione sulla definizione e le potenzialità del lavoro agile in un contesto che, come si è già osservato, è in continua trasformazione, caratterizzato da prestazioni lavorative sempre meno organizzate in modo rigido e gerarchico. Un ruolo senza dubbio importante dovrà essere svolto dalla contrattazione collettiva, che appare attualmente ancora poco consapevole dell’importanza del ruolo che è chiamata a svolgere. Difatti, sebbene nella contrattazione aziendale si rinvengano i primi tentativi di regolazione sistematica del lavoro agile, la dimensione quantitativa di questi accordi resta comunque limitata: il dato di 8 intese su un campione di 915 contratti aziendali potrebbe essere una spia della mancanza di certezza del quadro normativo di riferimento che scoraggia i negoziatori d’azienda a far riferimento alla regolazione di un modello organizzativo sui generis rispetto ai canoni tradizionali di svolgimento, misurazione e valorizzazione economica della prestazione lavorativa. Gli accordi tuttora vigenti si concentrano esclusivamente sulla flessibilità del luogo di lavoro e sui singoli istituti di flessibilità oraria e salariale, senza però essere in grado di favorire una cultura di responsabilizzazione dei lavoratori e di orientamento ai risultati (Dagnino, Tiraboschi, Tommasetti, Tourres, 2016).
La nuova normativa italiana per lo smart working: direzione giusta?
Molto dipenderà dall’impatto che avrà l’applicazione della tanto attesa legge n. 81 approvata e pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 22 maggio 2017 contenente Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l’articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato. In sintesi, si prevede di favorire l’articolazione flessibile della prestazione di lavoro subordinato in relazione al tempo e al luogo di svolgimento. Il titolo I detta disposizioni in materia di lavoro autonomo con l’obiettivo di costruire, per tali lavoratori, prestatori d’opera materiali e intellettuali non imprenditori, un sistema di diritti e di welfare moderno capace di sostenere il loro presente e di tutelare il loro futuro. Le principali misure riguardano la previsione di agevolazioni fiscali, consistenti nella deducibilità integrale, ovvero, entro il limite annuo di 5mila euro, delle spese sostenute per i servizi personalizzati di certificazione delle competenze, orientamento, ricerca e sostegno all’autoimprenditorialità finalizzate all’inserimento o reinserimento del lavoratore autonomo nel mercato del lavoro; entro il limite annuo di 10mila euro, delle spese per la partecipazione a convegni, congressi e corsi di formazione e di aggiornamento professionale; delle spese per gli oneri sostenuti per la garanzia contro il mancato pagamento delle prestazioni di lavoro autonomo fornita da forme assicurative o di solidarietà, con un conseguente abbattimento dei costi per il lavoratore autonomo. Un ruolo sempre più significativo viene riconosciuto ai centri per l’impiego e ai soggetti accreditati che offrono servizi per il lavoro e le politiche attive, che sono tenuti a dotarsi di uno sportello dedicato al lavoro autonomo che raccolga le domande e le offerte, in grado di fornire informazioni ai professionisti e alle imprese anche in ordine alle procedure per l’avvio di attività autonome, alla partecipazione agli appalti pubblici, alle opportunità di accesso al credito e alle agevolazioni pubbliche previste a livello nazionale e locale.
Viene, tra l’altro, previsto il riconoscimento del diritto a percepire l’indennità di maternità spettante per i due mesi antecedenti la data del parto e i tre mesi successivi, indipendentemente dalla effettiva astensione dall’attività lavorativa; l’estensione della durata e dell’arco temporale entro il quale tali lavoratori possano usufruire dei congedi parentali, prevedendo che l’indennità per congedo parentale possa essere corrisposta per un periodo massimo di sei mesi entro i primi tre anni di vita del bambino; la previsione della sospensione, senza diritto al corrispettivo, del rapporto di lavoro dei lavoratori autonomi che prestano la loro attività in via continuativa per il committente in caso di gravidanza, malattia e infortunio, per un periodo non superiore a 150 giorni per anno solare e la sospensione del versamento dei contributi previdenziali e dei premi assicurativi per l’intera durata della malattia e dell’infortunio fino ad un massimo di 2 anni, in caso di malattia e infortunio di gravità tale da impedire lo svolgimento dell’attività lavorativa per oltre 60 giorni; la previsione di una specifica misura di tutela contro la malattia, in base alla quale i periodi di malattia certificata come conseguente a trattamenti terapeutici di malattie oncologiche sono equiparati alla degenza ospedaliera.
Il titolo II, invece, reca diposizioni in materia di lavoro agile, che non configura una nuova tipologia contrattuale, ma rappresenta una modalità flessibile di svolgimento del rapporto di lavoro subordinato quanto ai luoghi e ai tempi di lavoro; una modalità finalizzata a incrementarne la produttività, agevolando al contempo la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro. Anche al fine di evitare equivoci interpretativi, è previsto che il lavoratore che presta l’attività di lavoro subordinato in modalità agile abbia il diritto di ricevere un trattamento economico e normativo non inferiore a quello complessivamente applicato ai lavoratori che svolgono le medesime mansioni esclusivamente all’interno dell’azienda e che gli incentivi di carattere fiscale e contributivo, eventualmente riconosciuti in relazione agli incrementi di produttività ed efficienza del lavoro subordinato, debbano essere applicabili anche quando l’attività lavorativa sia prestata in modalità di lavoro agile; infine, il datore di lavoro deve garantire al lavoratore che svolga la prestazione in modalità di lavoro agile la salute e la sicurezza, consegnandogli, a tal fine, un’informativa scritta nella quale sono individuati i rischi generali e i rischi specifici connessi alla particolare modalità di esecuzione del rapporto di lavoro.
Conclusioni
Se in contesti come quello di innovazione tecnologica, soggetti a rapidi e alquanto imprevedibili cambiamenti, sia molto difficile fare previsioni per il futuro, è necessario un significativo impegno da parte degli Stati chiamati ad adottare atteggiamenti razionali e costruttivi per adeguare tempestivamente i propri sistemi produttivi, educativi e di formazione e far fronte ai giustificati timori sugli effetti negativi che i progressi sul fronte dell’intelligenza artificiale potrebbero avere sulla forza lavoro – incluso quella più qualificata.
Difatti, non bisogna dimenticare che i miglioramenti di produttività ottenuti tramite l’innovazione tecnologica che possono tradursi in un aumento della produzione devono convertirsi necessariamente in altre tipologie di investimento: in maggior ricerca e sviluppo, in miglior comunicazione, pubblicità, distribuzione, qualità del servizio al cliente e così via, trasferendo risorse ad altri settori produttivi (ricerca, servizi professionali, trasporti e logistica, software, design ecc.) e generando anche in tali settori nuovi posti di lavoro. Al fine di evitare che l’innovazione tecnologica generi effetti distorsivi sul mercato del lavoro, ma che anzi crei e diffonda nuove figure professionali, rendendo il sistema produttivo più competitivo nel suo complesso, è necessario incentivare gli investimenti in ricerca e sviluppo e volti all’ammodernamento tecnologico delle imprese nell’ottica della cosiddetta “Industria 4.0”, nonché riformare il sistema di istruzione e formazione garantendo un monitoraggio adeguato e costante delle dinamiche tecnologiche e occupazionali al fine di soddisfare in modo più idoneo i fabbisogni emergenti.
L’Italia, però, appare ancora lontana dal fronteggiare in modo credibile ed efficace le sfide provenienti dall’automatizzazione e dalla diffusione dell’intelligenza artificiale, mostrandosi incapace di garantire maggiore competitività al sistema produttivo e di favorire la creazione di nuovi posti di lavoro traendo, così, beneficio, e non solo svantaggi, dall’innovazione tecnologica.
Bibliografia
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- Commissione Europea, Libro Bianco sul futuro dell’Europa. Riflessioni e scenari per l’UE a 27 verso il 2025, marzo 2017: disponibile all’indirizzo web http://bit.ly/2pwBB5V.
- Camera dei Deputati, Senato della Repubblica, Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l’articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato”, Gazzetta Ufficiale 22 maggio 2017.
- Dagnino E., Tiraboschi M., Tommasetti P., Tourres C., Il lavoro agile nella contrattazione collettiva oggi, Working Paper di Adapt – Associazione per gli Studi internazionali e Comparati sul Diritto del lavoro e sulle Relazioni industriali, febbraio 2016.
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- Marcello E., Filipa S., Are the French Happy with the 35-Hour Workweek?, IMF Working Paper, International Monetary Fund, novembre 2006: http://bit.ly/2xUj73O.
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- Frey C.B., Osborne M., Technology at Work. The Future of Innovation and Employment, Oxford Martin School / Citi GPS: Global Perspectives & Solutions, febbraio 2015: http://bit.ly/1NLIEfK.
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