“It shall be a question which no single cybernetics machine has been able to answer.”
He turned to face the machine. “Is there a God?”
The mighty voice answered without hesitation, without the clicking of a single relay.
“Yes, now there is a God.”
(Fredric Brown, 1954)
Attorno alla metà degli anni Sessanta del XX secolo fu chiaro che un nuovo strumento stava iniziando a rivoluzionare il panorama tecnologico. Il calcolatore elettronico, il computer, compiva i primi calcoli complessi e sgravava l’Uomo dalla fatica della ripetitività e dall’insidia dell’errore. Negli stessi anni, a proposito di computer, veniva esplicitata un’idea che era stata già formulata in precedenza senza essere però analizzata nelle sue possibili conseguenze. Ovvero che
in un prossimo futuro sarebbe esistita una macchina ultraintelligente in grado di superare la mente, di inventare e realizzare manufatti tecnologici al di là della comprensione umana e quindi di diventare l’ultimo manufatto realizzato (I.J. Good, 1965).
A questa congettura venne dato un nome solo nel 1993, in un saggio scritto dal matematico Vernor Vinge, The Coming Technological Singularity, nel cui titolo stava già la definizione che questa avrebbe portato sino a oggi. Fu poi Ray Kurzweil, dal 1998 in poi, con The Age of Spiritual Machines, e successivamente con The Singularity Is Near (2005) a strutturarla meglio, corredandola di leggi (dei ritorni accelerati) e di analisi e previsioni (sulle epoche evolutive).
Si può comprendere come quest’idea sia potuta emergere dalla metà degli anni Cinquanta in poi se pensiamo a come in quei decenni si sperimentasse l’inizio di una crescita lineare e costante dell’efficienza tecnologica e di come lo sviluppo della scienza e della tecnica (soprattutto in ambito spaziale) sembrasse inarrestabile e proiettato decisamente verso un futuro molto più confortevole. Fu sicuramente un approccio semplicistico, dovuto anche alla complessiva ignoranza dell’epoca sulla struttura e sul funzionamento della mente umana, presa a modello di un’IA infallibile e onnisciente.
Nel corso dei decenni la congettura ha acquistato profondità e complessità sino a giungere alla sua definizione attuale che è di Kurzweil. Egli sostiene che lo sviluppo tecnologico è parte integrante del processo evolutivo e che esso giungerà ad affiancare e a dare una spinta anche e soprattutto allo sviluppo biologico. Questo apporterà modificazioni tali alla neurobiologia umana (transumanesimo) da rendere gli uomini capaci di realizzare quei dispositivi tecnologici ultraintelligenti che ci condurranno alla singolarità.
In un futuro, quindi, immaginato come il luogo dell’espansione ibrida dell’artificiale nel biologico e della mente umana potenziata dalle capacità di calcolo e di elaborazione dell’elettronica, l’universo stesso si “risveglierà” nell’autocoscienza.
Questa, in estrema sintesi, è la congettura sulla singolarità tecnologica.
Le caratteristiche escatologiche di questa congettura sono antropocentriche nonostante le deviazioni transumane, viste comunque come necessarie per riuscire a giungere alla singolarità. Non sfugge quindi una certa urgenza trascendente, una fuga verso la trasfigurazione (transumanesimo) per poter giungere alla rivelazione (singolarità), altrimenti inconoscibile e irraggiungibile, e a un “regno dei cieli” aperto a tutti i convertiti (universo autocosciente).
Il portato ideologico scivola verso il religioso, con questa chiave di lettura, e l’atto di fede sembra poter essere identificabile nella certezza di un universo migliore, nel disciogliersi nel cosmo come mente, come parte armonica di un tutto, insomma un “ritorno alla casa del Signore”. Anche l’inevitabilità del percorso appartiene all’esperienza messianica: sia Vinge che Kurzweil descrivono l’ineluttabilità dell’arrivo di una singolarità tecnologica che cambierà l’uomo e il mondo per come lo conosciamo, introducendolo a nuove e migliori ere.
Dobbiamo, a questo punto, separare i due approcci: (I) quello puramente scientifico (e tecnico) da (II) quello religioso, cosciente o meno:
- Modalità epifaniche della singolarità tecnologica;
- Analogie tra religioni (messianiche, totemiche) e la dottrina della singolarità tecnologica.
L’approccio (I) è oggetto della prima sezione di questo articolo, che parte dalle analogie e differenze dell’interpretazione del futuro nel periodo di massima produzione distopica (cinematografica, letteraria e artistica in generale) in riferimento alla singolarità, per giungere ad un’analisi critica. L’approccio (II), dopo l’interludio sulla visione periferica, analizzerà le analogie con le religioni e i rischi connessi.
Singolarità tecnologica e nuova Apocalisse
Negli anni che seguirono la prima formulazione della congettura, i Settanta del secolo scorso, il futuro era narrato spesso in chiave distopica e violenta: il catastrofismo fungeva spesso da innesco, da espediente per sviluppare le conseguenze sociali in un disordine narrativo in cui si passava dall’immaginare futuri post-atomici a umanità alienate e senza speranza, acquiescenti rispetto a IA onniscienti, pervasive e spesso con finalità discutibili. Dopo la Seconda guerra mondiale l’umanità aveva attraversato decenni di Guerra Fredda, di minacce termonucleari, di conflitti sanguinosi (Corea, Vietnam), di repressione politica e di rivoluzioni violente. L’emergere di una visione distopica, caotica e feroce del futuro prossimo era pressoché obbligato, riconoscibile ai più, forse addirittura condiviso dalla cultura popolare. E fu come se la congettura fosse nata per ridare ordine e speranza in un futuro altrimenti caotico e privo d’indirizzo, violento e disumano.
Jonathan: “Ci ho pensato, Ella. Ci ho pensato su molto – e osservato. È come se le persone avessero avuto tanto tempo fa la possibilità di scegliere tra tutte queste belle cose e la loro libertà. Ovviamente, scelsero le comodità.”
Ella: “Ma le comodità sono libertà. Lo sono sempre state. L’intera storia dell’umanità è stata una continua lotta contro la povertà e i bisogni.”
Jonathan: “No. No – non è così. Non è mai stato così. Con questi privilegi ci hanno solo messi a tacere.”
Nel 1975 uscì un film dal titolo Rollerball. Ambientato in un futuro distopico in cui non esistevano più nazioni né guerre, racconta un pianeta in cui governano solo delle immense corporazioni multinazionali attraverso propri dirigenti. Il benessere dei cittadini viene garantito e lo sport più seguito è, appunto, il Rollerball: due squadre di pattinatori si affrontano lungo una pista ovale, contendendosi una sfera. Chi riesce ad arrivare alla meta con questa sfera vince la partita. Il contatto fisico è permesso e il gioco ha una durata massima, ma sono previste sanzioni per i giocatori che praticano un gioco troppo duro.
Le vicende faranno mettere il protagonista, il Jonathan del dialogo in apertura di paragrafo, in contrasto con i dirigenti delle corporazioni, che inizieranno a vessarlo e a minacciarlo, abolendo progressivamente le regole che vietavano l’eccesso di violenza sino ad arrivare a partite senza limiti di tempo e senza regole.
Jonathan, durante tutto lo svolgimento del film, acquisisce progressivamente la consapevolezza di non avere i diritti naturali di un essere umano ma di rivestirne soltanto gli abiti mentre, nella sostanza, è uno schiavo, un gladiatore, un soggetto privo della propria libertà e della propria autodeterminazione che deve solo obbedire, adattarsi e vivere come gli è stato ordinato di fare.
Sarà, alla fine, una catarsi generale, una sorta di epifania rivelatrice, perché il protagonista, contro tutti i pronostici, riuscirà a sopravvivere e a vincere la sua ultima partita in modo così brutale da renderlo una sorta di immortale agli occhi di un pubblico che invece non riuscirà ad andare oltre la straordinaria prestazione, alla ribellione, all’atto rivoltoso del singolo.
La società descritta nel film è un informe magma di individui, uno “sciame”, come lo definirebbe Byung-Chul Han, che, come una cellula resa priva della membrana citoplasmatica, ha perso la sua identità di gruppo e si dissolve. Il singolo viene sostenuto e soddisfatto nei suoi bisogni primari, viene educato e gli viene dato uno scopo, e anche i momenti di svago gli vengono somministrati. Ma non essendoci più Stati né frontiere, guerre o delinquenza, l’individuo è una sorta di monade, d’insetto privo dell’intelligenza collettiva tipica, per esempio, delle formiche o delle api e si raggruppa solo per godere della protezione dello sciame e null’altro. È una società che si è privata delle ideologie tipiche degli ultimi due secoli di storia, il XIX e il XX secolo, e quindi non ha bisogno di una separazione in gruppi, di aggregazioni partitiche, di associazioni (Palano, 2020).
Un riadattamento consapevole dell’antico: feste, farina e forca.
Mentre camminavamo lungo la baia del cemento abitato, ero calmo di fuori, ma dentro pensavo: allora adesso chi comanda è Georgie. Decide cosa si deve fare, cosa non fare, e Dim è il suo tonto digrignante bulldog. E d’un tratto capii che il pensare è per gli stupidi, mentre i cervelluti si affidano all’ispirazione, e a quello che il buon Bog manda loro. La musica mi venne in aiuto. C’era una finestra aperta con uno stereo, e seppi subito che cosa fare.
(Arancia Meccanica, 1971)
Rollerball fu solo uno dei titoli di fantascienza distopica degli anni Settanta. Quel decennio fu prolifico e molti sarebbero poi passati nell’immaginario non solo dei cultori del genere ma pure di quello collettivo. Soylent green (2022: i sopravvissuti) del 1973, la saga del Pianeta delle Scimmie (dal 1968 in poi), La fuga di Logan (1976), Occhi bianchi sul pianeta Terra (1971) – secondo adattamento dal libro Io sono leggenda di Richard Matheson –, Colossus: the Forbin project (1970), Westworld (1973), Arancia Meccanica (1971) e molti altri ancora. E non fu un caso se proprio in quel decennio fiorirono libri, film ma anche filoni musicali post psichedelici con un portato distopico e di denuncia sociale assai corrosivo. Non fu un caso perché proprio in quel decennio ci fu la battaglia finale, lo scontro conclusivo tra i due modi di intendere il mondo e la sua società, l’economia e il suo destino che erano rimasti in piedi dopo centovent’anni da quel 1848 in cui Karl Marx pubblicò il suo Manifesto, che persino Cavour probabilmente intercettò e ne fu turbato.
Sappiamo come andò lo scontro, chi vinse e chi perse.
Oggi, quarantacinque anni dopo Rollerball e trentun anni dopo la caduta del muro di Berlino cosa resta delle visioni distopiche degli anni Settanta? Potremmo affermare di esserne immersi?
La risposta, con ogni probabilità, sarebbe un no netto e deciso. Perché non c’è stata nessuna guerra termonucleare, né esistono androidi assassini che girano tra noi, né fabbriche dove si riciclano i cadaveri per farne cibo adatto a nutrire ignari sopravvissuti e nemmeno scimmie schiaviste in regni fantastici. Vero è che se lo scenario generale, la quinta narrativa non si è fortunatamente concretizzata, alcune intuizioni meritano senza dubbio di essere approfondite: come certi segni alienanti di Arancia Meccanica nelle nostre periferie e società urbane, ad esempio; o la questione del cibo, della sua origine e le sue dinamiche sulla cancerogenesi, sulla sostenibilità ambientale e sulle patologie da sedentarietà.
La singolarità sarà riconoscibile?
Ciò che invece sembra aver continuato quasi indifferente ai travagli dell’uomo sul pianeta in questi ultimi cinquant’anni è il progresso tecnologico che appare costante, continuo, lineare soprattutto in campo elettronico e informatico, seguendo sino agli ultimi anni le leggi di Moore.
(a) Il numero dei transistor in un processore raddoppia ogni 18 mesi;
(b) Il costo delle apparecchiature necessarie per realizzare i semiconduttori raddoppia ogni 4 anni.
Ai nostri giorni queste leggi non ci sembrano più sostenibili in un prossimo futuro, essendo prossimi i limiti fisici ed economici di una simile crescita. Che non significa che la curva si appiattirà e non vi sarà più progresso, ma che siamo arrivati al termine di un paradigma (raddoppio ogni 18 mesi) e dovremo adattarci a un altro.
Ciò che emerge, quindi, è che la rincorsa alla singolarità tecnologica dovrebbe anch’essa rimodulare il paradigma che la vede approcciarvisi progressivamente e in modo costante in attesa della sua epifania per mezzo di una IA superiore a quella umana. Questo nuovo paradigma potrebbe essere radicalmente diverso da quello auspicato e atteso. E quindi non riconoscibile.
Nel corso dei decenni successivi, la congettura ha assunto una forma più complessa e diverse interpretazioni, ma ciò che qui è d’interesse sono le sue implicazioni sociali, ovvero come alcune delle caratteristiche fondanti della nostra società muterebbero in presenza di una singolarità tecnologica. Una di queste è il suo uso per la creazione di forme di aggregazione alternative (ad es. in politica), il cambiamento delle dinamiche economiche e di borsa, con la potenza di calcolo predittiva che anticiperebbe la scelta umana, la sostituzione della forza lavoro con macchine intelligenti, bot risponditori, lo sviluppo della tecnologia medica che allunga la vita creando squilibri nel welfare eccetera. Insomma, qualche segno di una singolarità tecnologica incipiente o addirittura in piena fase epifanica esiste: perché l’uso della rete in politica, del calcolo predittivo in borsa, dei robot autonomi, di bot risponditori e dell’ingegneria biomedica o nelle recenti vicende sulla pandemia della Covid e sulle ricerche farmaceutiche sono già realtà nella nostra contemporaneità.
La questione, quindi, se ci troviamo al cospetto di una singolarità tecnologica “diffusa” che non siamo più in grado di comprendere né di pilotare ha argomenti che potrebbero comprovarla. Se il nostro intelletto non è sufficiente perché abbiamo sempre ipotizzato l’avvento di una tecnologia identificabile perché prevista, e, viceversa, ci troviamo di fronte a tutt’altro, all’imprevisto e forse all’imprevedibile, allora ci resta solo l’osservazione indiretta degli effetti, ma potrebbe non essere sufficiente.
Non sfugge l’analogia con il pensiero tomista. Nella Summa, Tommaso d’Aquino si chiese se Dio potesse essere riconoscibile e rappresentabile attraverso quella che lui definiva la “ragione naturale” e giunse alla conclusione che era impossibile conoscerlo attraverso la ratio, che era possibile intuirlo solo attraverso i suoi effetti (phantasmata) e che questa era una conoscenza riservata ai “buoni”[1]. La singolarità come congettura rischia quindi di diventare “atto di fede”.
In campo fisico, ad esempio, non c’è la possibilità di poter osservare direttamente una singolarità per limiti intrinseci alla natura stessa del nostro spazio-tempo. Penrose e Hawking (1996) hanno reso famoso e mainstream il “buco nero”, definito come “singolarità dello spazio-tempo”, ma il concetto stesso di singolarità appartiene a numerosi campi, dalla matematica alla fisica, alle scienze naturali e a quelle sociali. È una regione del sapere in cui ci si imbatte in quantità infinite o infinitesime (matematica), in spazi a curvatura infinita (fisica), a salti di specie (scienze naturali), a imprevedibilità nelle interazioni tra gruppi (scienze sociali). In ognuno di questi ciò che rende necessario l’utilizzo di questo termine, singolarità, ha a che fare direttamente o indirettamente con il limite dell’intelletto umano e con i limiti che la natura impone. La singolarità è un hic sunt leones, un non-luogo dove il confronto con la realtà non solo diventa difficile, ma impossibile.
Se secoli fa potevano essere le speculazioni sull’aspetto di dio e la sua rappresentazione nell’arte uno dei limiti oltre il quale s’infrangeva la ratio dell’intelletto, oggi abbiamo di nuovo lo stesso dilemma nelle scienze fisiche e naturali. Non sappiamo cioè se l’epistemologia possa avere, come la fisica dell’infinitamente piccolo, un limite intrinseco legato alla realtà, all’universo in cui siamo per quello che è.
L’esercizio teopoietico[2] degli antichi non è stato vano se, a fronte degli sforzi interpretativi, siamo di nuovo a ridosso dell’inconoscibilità e dell’impossibilità descrittiva della realtà, sia pur con altri strumenti. Non più la teologia, ma oggi la scienza, la matematica, la fisica a cui si aggiungono per estensione le scienze naturali e sociali.
Quindi, oggi, possiamo ancora appoggiarci al precetto tomista secondo cui è possibile cogliere dio attraverso gli effetti della sua presenza nell’universo? Possiamo, insomma uscendo di metafora, accorgerci di essere all’interno di una singolarità tecnologica che si esprime in modo non riconoscibile dal nostro intelletto solo osservandone gli eventuali segni, effetti della sua presenza sulla realtà?
La risposta è no senza “atto di fede”.
Definizione critica di singolarità tecnologica
Una singolarità non sempre è generata da un singolo evento ben delimitato nello spazio e nel tempo. Ma piuttosto da un processo, un insieme di eventi connessi in grado di influenzarsi a vicenda e tendere verso un unico risultato. Come conseguenza, non è sempre vero che una singolarità corrisponda a un picco, una cuspide (intorno non differenziabile) oltre la quale la curva degli eventi riprende in direzione totalmente differente.
(Prima critica) L’intelligenza umana viene utilizzata nella congettura sulla singolarità come il traguardo da raggiungere. Noi umani riteniamo il nostro intelletto il bene più importante, l’abbiamo riconosciuto come chiave del nostro sviluppo e del nostro successo sul pianeta. Ipotizziamo quindi che sia il bene supremo poiché attraverso di esso siamo in grado di tentare la comprensione dell’universo stesso (di cui l’intelletto è un’espressione). Non sappiamo ancora, però, in cosa consista e come funzioni esattamente la mente umana. Sappiamo che i costituenti del cervello umano sono i neuroni, e che essi sono collegati gli uni agli altri attraverso assoni e dendriti (che comunicano rispettivamente in uscita e in entrata) e formano una rete neurale formata da circa 1015 connessioni. Un numero enorme. E la sua dinamica delle idee e della loro genesi, l’archetipopoiesi[3], è per lo più ignota. Come pretendere quindi di riuscire a costruire intelligenze artificiali senza conoscere l’architettura del modello?
(Seconda critica) Nel cuore di quasi tutte le galassie si ritiene esistano buchi neri la cui massa è milioni o miliardi di volte più grande del nostro Sole. Sono definiti buchi neri supermassicci e sono, per definizione, delle singolarità gravitazionali. Ma presentano delle caratteristiche molto particolari che li rendono assai diversi dai buchi neri che si sono formati in seguito a fenomeni locali (supernovae, fusioni tra sistemi binari ecc.). La loro densità media è inferiore a quella dell’acqua e le forze di marea attorno all’orizzonte degli eventi sono debolissime. In pratica, uno sprovveduto astronauta potrebbe attraversare l’orizzonte degli eventi senza rimanerne vittima, e sperimenterebbe i suoi effetti solo dopo essersi addentrato molto verso il centro. L’attesa dell’arrivo di una singolarità tecnologica potrebbe seguire la stessa analogia, ovvero quella di una lenta trasformazione i cui segni sembrano quasi insignificanti, impercettibili. Ma che, in realtà, ci dicono che, come astronauti ignari, siamo già ben oltre l’orizzonte degli eventi e che per quanto noi si voglia tentare di controllarne la traiettoria non sarà possibile.
(Terza critica) Va considerato anche un approccio olistico alla congettura sulla singolarità tecnologica che ne riveli come sia impossibile una sua descrizione semplicemente come somma delle sue parti, di cui una (lo sviluppo dell’IA) sia privilegiata. Un approccio, in altre parole, che tenga conto di come sia svantaggioso cercare di ridurre la congettura a un’attesa quasi messianica di una macchina intelligente. Perché con ogni probabilità, se dovesse accadere, la singolarità tecnologica emergerà da un processo complesso, diluito, con effetti osservabili nel tempo ma non rivoluzionari, la cui architettura sarà complessa e articolata e probabilmente assai difficile da distinguere all’inizio da quella di un processo caotico e privo di fine.
Se la congettura apparterrà al mondo degli osservabili e dei conoscibili allora dovremo porre attenzione ai segni del suo avvento cambiando l’approccio, rinunciando a essere osservatori privilegiati e cercando di osservare l’intero processo, fluendo con esso e interpretare le trasformazioni.
Se la congettura, viceversa, non sarà un osservabile poiché una parte non è in grado di cogliere il tutto, potremmo già essere oltre l’orizzonte degli eventi senza averne contezza.
Interludio
L’arte, come manifestazione assolutamente umana, e come necessità comunicativa primaria, quando si trova a dover rappresentare l’irrappresentabile deve ricorrere al simbolismo. Dalle Madonne con bambino raffigurato come vecchio del XII secolo (Duccio da Boninsegna, Berligherio), al Dio come luce del Beato Angelico del XV secolo, alle Tentazioni di Sant’Antonio di Salvador Dalì sino ai tagli nelle tele, ai colori e alle forme dell’astrattismo contemporaneo in cui è chiaro come si passi attraverso la necessità di una rappresentazione aliena al contesto per far emergere dalla tela o dal manufatto ciò che non può essere rappresentato perché inconoscibile, ignoto, inaudito.
Può essere utile, ai fini della nostra tesi, osservare come l’emergere di un nuovo archetipo negli anni Sessanta del XX secolo sia stato tradotto nell’arte, questa “disciplina del pensiero laterale”, koan della mistica razionale: il tentativo di dare forma all’alterità dell’arte rispetto alla religione, e per estensione della scienza, della tecnologia e di tutti i prodotti dell’intelletto umano.
Nel 1964 John e Dominique de Menil commissionarono all’artista Mark Rothko la realizzazione di una “cappella per meditazione”, che, nelle intenzioni dei committenti, avrebbe dovuto diventare un luogo laico e aconfessionale in cui potersi dedicare alla meditazione o alla riflessione, ma anche alla preghiera. La Cappella vide la luce nel 1971 solo dopo il suicidio dell’artista che avvenne l’anno precedente, nel febbraio del 1970. Quest’opera, scrive Alessandro Carrera (2019), “sarebbe stata una cappella dedicata a nessuna religione, a tutte le religioni, ma soprattutto a quella personale di Rothko”.
All’esterno della Cappella, di fronte all’ingresso, è stato posto un esemplare del Broken Obelisk di Barnett Newman (1963-1967), una scultura in Corten che inizialmente fu proposta alla città di Huston in memoria di Martin Luther King, ma la donazione fu rifiutata. Sono state realizzate quattro copie di quest’opera, che, oltre a quella di fronte alla Cappella Rothko, si trovano al Red Square, presso l’Università di Washington, Seattle; al Museo d’Arte Moderna di New York, e allo Storm King Art Center, New Windsor, New York.
Il critico d’arte Robert Hughes definì nel 1971 quest’opera come immagine della trascendenza, una forma d’arte che per l’autore era ricerca filosofica e una via per la conoscenza.
Foto di Ed Uthman, Houston, Texas, USA.
In quel periodo, insomma, non vi era un campo dell’intelletto umano che non risentisse delle influenze dello sviluppo tecnologico e scientifico, tanto che l’apparente rifiuto della dimensione religiosa, come in questo caso con una “cappella aconfessionale”, contiene in sé già il germe del ribaltamento logico.
Spesso l’opera d’arte, con la sua peculiare caratteristica di essere contemporaneamente calata nel tempo in cui è realizzata e manifestare invece caratteristiche totalmente astoriche e atemporali, riesce a indicare un percorso alternativo alla speculazione, al dettato della mente umana. Ed è assai utile. Anche perché l’arte ha migliaia di anni di esperienza nel rappresentare l’irrappresentabile: se la singolarità tecnologica fosse nell’orizzonte della percezione umana, se la trascendenza la comprendesse come ipotesi o surrogato, l’arte l’avrebbe già rappresentata (Nicola Lupieri). E l’arte contemporanea, tra le sue molteplici forme espressive, contempla anche la graphic novel. Ed è da lì che riprenderemo il nostro percorso.
Transumanità e trasfigurazione
Tra il 1991 e il 1995 Yukito Kishiro, mangaka giapponese, pubblica Gunnm (in Italia Alita, l’angelo della battaglia), in cui l’idea del Rollerball viene ripresa e riadattata al suo futuro distopico. In un luogo non precisato della Terra una città-discarica è abitata da cyborg più o meno potenziati, e da una minoranza di esseri umani senza nessun innesto artificiale. In un regime ultraviolento (alla Kubrick) l’unico controllo sociale sembra essere quello che deriva dall’indotto di uno “sport” giocato da cyborg, il Motorball, che genera profitti, fa divertire le masse, controlla le derive violente di frange isolate.
La differenza sostanziale tra i due lavori è che nel film del 1975 i protagonisti sono uomini al più protetti da caschi da football americano e guanti con borchie acuminate, mentre nel manga di quindici anni dopo i protagonisti sono tutti cyborg con una percentuale artificiale su quella organica che a volte supera il 90%.
L’intero universo di Kishiro è popolato da creature potenziate da innesti. Coloro che ancora non si sono sottoposti a interventi sostitutivi lo fanno per scelta e non per necessità. L’intera città, che si trova nel mezzo di un deserto arido e privo di vita, dipende da una città gemella sospesa nel cielo, Salem, da cui riceve il sostentamento necessario sotto forma di rifiuti che vanno ad alimentare l’immensa discarica attorno alla quale i reietti e i sopravvissuti trascorrono la loro esistenza.
La città sospesa è, al contrario, un luogo dove i cittadini hanno ogni desiderio soddisfatto ed è gestita da un’intelligenza artificiale estremamente sofisticata. La stessa città sospesa possiede officine robotizzate dove vengono creati prototipi di corpi e di innesti cyborg che nessun essere umano sarebbe in grado di concepire.
L’universo di Kishiro è una visione post-singolarità tecnologica, o che si è arenata a ridosso della V epoca di Kurzweil, quella in cui avviene la fusione tra intelligenza biologica e artificiale, in cui le IA non sono né buone né cattive, ma indifferenti. La direzione dello sviluppo tecnologico non segue una direzione auspicabile dagli esseri umani, ma sonda futuri e ambienti privi di qualsiasi sostrato etico morale.
In questo universo l’uomo potenziato, il cyborg, il transumano, non è né soluzione né catarsi umana ma solo il tentativo disperato da parte di un organismo biologico di adattarsi e sopravvivere in un ecosistema che ha reso gli esseri umani non potenziati inadatti e quindi a rischio di estinzione.
La necessità di integrare l’artificiale con il biologico per poter sviluppare tecnologie in grado di giungere alla singolarità è analoga a quella della trasfigurazione per poter avere accesso al “regno dei cieli”. In questa chiave è ascrivibile a un vero e proprio “atto di fede”.
Nascita di una “nova religio”
La plausibilità di una singolarità tecnologica è quindi subordinata alla nostra capacità di comprenderla, qualora essa si manifestasse, poiché essa non assumerà una forma precisa e prevista quando sorgerà dall’orizzonte della conoscenza. Non abbiamo una conoscenza approfondita di come funzioni la nostra mente, quindi oggi non potremmo immaginare nemmeno come un IA costruita dalla nostra mente possa essere realizzata. Potremmo non essere in grado di gestire la transizione da un’era pre-singolarità a una post-singolarità, perché la transizione potrebbe essere estremamente diluita nel tempo, viaggiare sotto il limite di rintracciabilità, non essere riconoscibile. La singolarità può essere, infatti, sia cuspide che lungo iato in cui è sospesa la conoscenza, e ciò che emergerebbe a valle della singolarità, oltre l’orizzonte degli eventi, potrebbe essere inconoscibile per definizione. Se la singolarità tecnologica fosse assimilabile a un sistema olistico di cui il nostro intelletto è parte, potrebbe essere impossibile per l’umanità arrivare a comprenderla in quanto parte di un tutto la cui la sommatoria funzionale delle sue parti è superiore alla somma delle parti stesse. E non c’è evidenza che non possa esserlo. La transumanizzazione, ovvero il potenziamento dell’essere umano e delle sue facoltà cognitive attraverso la simbiosi con il mondo artificiale, non è di per sé garanzia di riconoscibilità della singolarità né di controllo del momento della transizione durante l’epifania della singolarità tecnologica.
La fascinazione per un futuro de-responsabilizzato, in cui una grande entità intelligente è in grado di fondersi con le menti umane e prendersi cura del vivente resta forte e radicata. Anche la visione speculare, ovvero quella che prevede una reale fusione cognitiva tra le due realtà e quindi sviluppa interesse e bene necessariamente convergente e reciproco è presente.
Queste visioni hanno operato una sostituzione ideale neoscientista quando ancora si configuravano come una possibilità tecnologicamente auspicabile e ora come una “nova religio”, in cui tutti i capisaldi delle grandi monoteistiche del passato sono stati rimessi in funzione: l’escatologia, l’avvento, l’attesa messianica, la trasfigurazione come necessità, l’atto di fede.
Adam Morris, nel suo American Messiahs (2019), argomenta a favore di questa tesi. Ipotizza infatti che il “Singolaritanesimo” possa configurarsi esattamente come religione di tipo messianico in cui gli adepti identificano nella singolarità tecnologica un superamento della figura del leader carismatico, del Messia, e in cui, a differenza di ogni altro movimento religioso di quel tipo, credono che il modello economico capitalista sia il motore della salvezza piuttosto che della dannazione. In questo rimarcano l’originalità della loro visione, almeno nella forma. Anche se i dubbi sulla sostanza, come abbiamo visto, permangono. Le analogie con le grandi monoteiste sono molto evidenti.[4]
GUT e urgenza evolutiva
Nel 1449 Nicola Cusano (Nikolaus Krebs von Kues) introduce il concetto di limite alla conoscenza umana rispetto a ciò che, invece, viene definito come perfetto e infinito (Dio). È impossibile, afferma, che una parte possa conoscere il tutto, che una finitezza possa apprezzare l’infinitezza. Dio quindi è frutto di una “congettura”, imperfetta e limitata. Ma è il congetturare che fa parte di una tendenza verso la verità e che è di per sé stesso sufficiente per arrivare a riconoscerla
Una linea questa che è stata traccia del pensiero protoscientifico e scientifico da Leonardo sino ad Albert Einstein passando per Bruno, Galilei, Copernico, Keplero eccetera. Ed è un solco nel quale inevitabilmente il pensiero umano ha tracciato la sua via sino al secondo dopoguerra, quando cominciò a essere evidente che la conoscenza fisica del mondo stava superando le barriere poste dalla pura speculazione filosofica. E che forse si sarebbe stati in grado di poter “conoscere la mente di Dio” (Hawking).
I processi di unificazione delle teorie, a partire da James Clerk Maxwell (elettricità e magnetismo), e progressivamente con l’estensione alle forze nucleari debole e forte, sono stati possibili grazie a un corpo fisico matematico solido e strutturato che ha permesso la grande rivoluzione tecnologica in cui siamo immersi.
La relatività generale restò fuori da questo grande quadro d’insieme, e la prospettiva dei ricercatori per il nostro futuro prossimo è quella di riuscire a unificare anche la gravità nel quadro complessivo per giungere, infine, a una Grande Teoria del Tutto (GUT).
Questa ricerca sta andando avanti ormai da decenni. La tendenza all’unificazione delle conoscenze fisiche, su cui si cimentò senza successo anche Einstein, è in atto ormai sin dagli anni Cinquanta del XX secolo. Ma senza un risultato decisivo, certo e condiviso. Stringhe e LQG (gravità quantistica a loop), che sarebbero le due teorie più promettenti, sono antitetiche, estremamente complesse, richiedono un corpo matematico ancora non pienamente sviluppato e non forniscono ancora indicazioni sufficienti per verificarne la validità.
L’enorme, immenso sforzo intellettuale dei fisici teorici oggi è focalizzato in questa direzione. Ciò che si respira nei dipartimenti è la necessità di arrivare a questo risultato. E forse è sottinteso come l’urgenza sia necessaria per evitare di ricadere nell’affermazione di Cusano sull’intrinseca inconoscibilità di dio (o della natura, come direbbe Spinoza). E non è per nulla scontato che possa andare diversamente da come il filosofo aveva ipotizzato seicentocinquant’anni fa, cosa che vanificherebbe una rincorsa che ha almeno due secoli di storia alle spalle, e che si ritrova disseminata nelle arti e nella letteratura, nella scienza e nella matematica.
Nel 1818 Mary Shelley scrisse nel suo Frankenstein
questi filosofi, le cui mani sembrano fatte solo per frugare nel fango, i cui occhi sembrano fissarsi solo sul microscopio, o sul crogiuolo, hanno compiuto miracoli. Essi penetrano nei recessi della natura e ne rivelano l’opera segreta. […] Hanno acquisito nuovi e quasi illimitati poteri, possono comandare il fulmine nel cielo, simulare il terremoto e prendersi gioco del mondo invisibile con le sue ombre.
Qualche anno prima, nel 1814, Laplace scrisse che
un intelletto che ad un determinato istante dovesse conoscere tutte le forze che mettono in moto la natura, e tutte le posizioni di tutti gli oggetti di cui la natura è composta, se questo intelletto fosse inoltre sufficientemente ampio da sottoporre questi dati ad analisi, esso racchiuderebbe in un’unica formula i movimenti dei corpi più grandi dell’universo e quelli degli atomi più piccoli; per un tale intelletto nulla sarebbe incerto ed il futuro proprio come il passato sarebbe evidente davanti ai suoi occhi.
Fu solo l’inizio di un’epoca, quella illuminista, che segnò l’evoluzione dell’uomo. Da allora la rincorsa è proseguita per moltissimi decenni durante i quali le due anime, quella scientista positivista e quella religiosa convissero. Lo spartiacque si ebbe con la Seconda guerra mondiale. Se bastò il terremoto di Lisbona a far cambiare radicalmente idea a Voltaire sulla teodicea leibniziana, gli eventi legati alla catastrofe bellica, all’ingegneria dello sterminio e alle bombe termonucleari sul Giappone incisero profondamente, come scrisse Adorno (1975), sulla sconfitta della trascendenza sull’immanenza.
Conclusione
La lenta rivoluzione che a partire dagli anni Sessanta del XX secolo ha modificato i costumi religiosi di una parte dell’umanità ha progressivamente prodotto intere generazioni di persone che professano ateismo e/o agnosticismo in un numero così elevato e in crescita come mai nella storia dell’uomo. La scolarizzazione, il progresso tecnologico, la demistificazione della miracolistica e la sostituzione con la scienza medica ed esatta hanno scalzato e svuotato d’interesse precipuo l’appartenenza a una religione. Gallup International stima in circa il 23% il numero delle persone che si professano atee o agnostiche (2012). E il dato è in crescita costante. Quasi due miliardi di persone sul pianeta, quindi, non si riconosce in una qualsiasi delle religioni che hanno scavalcato i millenni. Ricerche compiute nello stesso anno (Pew Research Center) dimostrano però come ateismo e irreligiosità di solito si configurano come opposizione alla religione dominante nel territorio oggetto del sondaggio, mentre l’ateismo “duro” resta minoritario.
In quest’ottica, concludendo, le vaste praterie che si sono aperte negli ultimi settant’anni favorite dal costante progresso tecnologico e dalla propensione sincretica tutta umana di trovare unificazione e ordine là dove regna il caos, in antitesi al messaggio religioso, stanno rischiando di essere colonizzate invece da religioni “di ritorno”, in cui i grandi temi (escatologia, messianismo, trasfigurazione, rivelazione ecc.) trovano declinazioni diverse nella forma ma non nella sostanza.
La scommessa intellettuale di stampo illuminista, nonostante tutte le incertezze e le difficoltà oggettive che ha dovuto affrontare in questi secoli, resta ancor’oggi l’unica diga al ritorno dalla “dispersione” di Novae Religiones d’ispirazione pseudoscientista.
Penso che la cosa più misericordiosa al mondo sia l’incapacità della mente umana di mettere in relazione i suoi molti contenuti. Viviamo su una placida isola d’ignoranza in mezzo a neri mari d’infinito e non era previsto che ce ne spingessimo troppo lontano. Le scienze, che finora hanno proseguito ognuna per la sua strada, non ci hanno arrecato troppo danno: ma la ricomposizione del quadro d’insieme ci aprirà, un giorno, visioni così terrificanti della realtà e del posto che noi occupiamo in essa, che o impazziremo per la rivelazione o fuggiremo dalla luce mortale nella pace e nella sicurezza di un nuovo Medioevo. (H.P. Lovecraft, 1928)
Riferimenti
- Th. W. Adorno, Dialettica negativa, Einaudi, Torino, 1975.
- Fredric Brown, Answer, 1954; in I. Asimov, M.H. Greenberg (a cura di), Le grandi storie della fantascienza 1954, vol. 16, Bompiani, Milano, 2011.
- Alessandro Carrera, Il colore del buio, il Mulino, Bologna, 2019.
- I.J. Good, Speculations concerning the first ultraintelligent machine, “Advances in Computers”, vol. 6, 1965.
- Byung-Chul Han, Nello sciame. Visioni del digitale, Nottetempo, Milano, 2015.
- Stephen Hawking, Roger Penrose, The Nature of Space and Time, 1996; tr. it. La natura dello spazio e del tempo, BUR, Milano, 2017.
- Robert Hughes, Time, 1971.
- Ray Kurzweil, The Singularity is Near, 2005; tr. it. La singolarità è vicina, Apogeo, Milano, 2008.
- Pierre-Simon de Laplace, Essai philosophique sur les probabilités, 1814.
- H.P. Lovecraft, Il richiamo di Cthulhu, 1928; in Chtulhu. I racconti del mito, Mondadori, Milano, 2019.
- Adam Morris, American Messiahs: False Prophets of a Damned Nation, Liveright, New York, 2019.
- Damiano Palano, Bubble democracy, Morcelliana, Brescia, 2020.
- Mary Shelley, Frankenstein; or, The Modern Prometheus, 1818; tr. it. Feltrinelli, Roma, 2013.
- Vernor Vinge, The Coming Technological Singularity: How to Survive in the Post-Human Era, 1993.
Note
[1] Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, parte I, domanda 12, “ratio ad formam simplicem pertingere non potest”; “Deus naturali cognitione cognoscitur per phantasmata effectus sui”; “cognitio Dei per essentiam, cum sit per gratiam, non competit nisi bonis”
[2] Teopoiesi, qui, è atto, processo di creazione di una divinità.
[3] Archetipopoiesi, qui, è il processo di creazione degli archetipi platonici, inteso come generatore di idee.
[4] A questo proposito, poiché l’uso delle analogie è sempre rischioso quando le si usa per giungere induttivamente a dimostrare una tesi, quelle tra le grandi monoteistiche e il singolaritanesimo vanno collocate decisamente nell’ambito delle somiglianze, delle similitudini funzionali. Perché se è vero che nel campo delle scienze naturali hanno avuto un’importanza non secondaria lo è altrettanto che a volte sono state causa di errori marchiani (ad es. l’influenza dell’antropologia positivista nel lavoro di Cesare Lombroso; o il concetto di razza umana, oggi sostituita dal fenotipo).