Alla fine degli anni Novanta, caratterizzati dalla dissoluzione violenta della Jugoslavia socialista, per i Balcani si apriva un nuovo orizzonte politico: quello dell’integrazione europea. Un processo che ha coinvolto tutti gli Stati dell’area, ma con traiettorie e velocità differenti. Oggi, i Balcani rappresentano ancora un’area non del tutto integrata nel sistema europeo.
Dal punto di vista politico, solo Slovenia e Croazia hanno raggiunto l’adesione all’Unione Europea, rispettivamente nel 2004 e nel 2013, mentre tutti gli altri paesi vivono ancora una prolungata e irrisolta fase di stallo. Tendenze autoritarie (Fruscione, 2021), contrapposizioni etnico-nazionaliste, forte polarizzazione interna alla società e alle forze politiche dei singoli paesi, rappresentano solo alcuni dei problemi più evidenti e significativi che ne hanno rallentato il percorso di avvicinamento all’UE. Difficoltà a cui l’Europa stessa non è stata in grado di dare risposte né di contribuire in maniera significativa e concreta al loro superamento.
Se, politicamente, le distanze tra Balcani e Unione Europea giocano ancora oggi un ruolo significativo, non del tutto differente è la situazione economica. Tra i paesi più poveri di tutto il continente, sia in termini di PIL che di salari, negli ultimi due decenni i Balcani hanno potuto usufruire di un rinnovato e ampliato rapporto di cooperazione e collaborazione con il resto d’Europa. Significativo, infatti, appare il dato relativo all’Unione come principale attore globale in termini di investimenti diretti esteri e programmi di finanziamento e aiuto economico per la regione (Prelec, 2020; Commissione europea, 2020). Nonostante ciò, l’area registra ancora un importante ritardo in termini di sviluppo economico. A questi problemi si è aggiunta, nell’ultimo anno, la crisi pandemica scatenata dal Coronavirus. Le conseguenze di questa crisi non hanno riguardato solo i già fragili equilibri socio-economici della regione ma anche il rapporto con l’Unione Europea stessa.
Dal punto di vista economico, i Balcani Occidentali[1] hanno subito una contrazione media annua del PIL del 4,5%, mentre il tasso di disoccupazione è salito dell’1,4% (Commissione europea, 2021). Risultati non difformi da quelli dell’Unione che ha fatto registrare un calo del 6,6% del PIL e un aumento della disoccupazione dello 0,7% (Eurostat, 2021).
Sul piano politico, l’ultimo anno e mezzo ha rallentato, se non quasi del tutto escluso, un coraggioso rilancio del processo di allargamento europeo, come sperato durante il summit di Zagabria nel maggio 2020. Il primo ostacolo, riconosciuto come un “errore storico” anche da alcuni leader europei, è stato il veto posto da Francia, Olanda e Danimarca, nell’ottobre 2019, all’avvio delle negoziazioni per l’adesione di Albania e Macedonia del Nord. Per “correggere” l’errore, nel febbraio 2020, il Consiglio dell’UE ha adottato, sempre su proposta francese, una nuova metodologia della politica di allargamento con l’obiettivo di «rinvigorire il processo di adesione rendendolo più prevedibile, più credibile e più dinamico» (Consiglio europeo, 2020). Questa scelta è stata seguita, a marzo, dal definitivo superamento del veto francese.
Nonostante il tentativo di ristabilire la fiducia reciproca con la presentazione di un piano europeo di finanziamenti pari a 9 miliardi di euro all’interno degli Strumenti di assistenza pre-adesione (IPA III 2021-2027), negli ultimi mesi non sono mancati forti momenti di tensione tra l’UE e alcuni Paesi della regione. Il caso più significativo è quello relativo alla decisione di limitare l’esportazione di materiale sanitario al di fuori dell’Unione nella prima fase della crisi pandemica. In quell’occasione il presidente serbo Aleksandar Vučić si era spinto a parlare della solidarietà europea come di «una favola». Una distanza che è tornata ad ampliarsi a causa delle difficoltà legate alla campagna vaccinale in Europa. Alla fine del 2020, l’Unione aveva stanziato 70 milioni di euro per favorire l’acquisto dei vaccini da parte dei paesi balcanici (Commissione europeo, 2020). Le difficoltà legate all’approvvigionamento delle dosi necessarie hanno travolto anche la regione, rinviando continuamente l’avvio delle vaccinazioni di massa. Così come già successo durante la prima ondata, con l’immediato sostegno della Cina capace di coprire il vuoto lasciato dalle istituzioni europee, anche per i vaccini l’intervento di Pechino (e Mosca) ha giocato un ruolo fondamentale nel sopperire alle mancanze degli alleati europei.
Il “2020 balcanico” si è però caratterizzato per un altro importante elemento: tutti i governi della regione, ad eccezione della Slovenia, hanno dovuto fare i conti con le urne. Votare in piena pandemia non è stata solo una sfida in termini sanitari e organizzativi ma anche politici.
Dopo aver esplicitato gli obiettivi del lavoro, metodologia e un sintetico quadro teorico (cfr. par.2), nel terzo paragrafo si prova ad interpretare i risultati dell’ultimo ciclo elettorale sia per quanto riguarda partecipazione e frammentazione del consenso (cfr. par.3.1), sia relativamente al posizionamento delle liste rispetto ai legami con le grandi famiglie politiche continentali e al tema della permanenza/ingresso nell’Unione (cfr. par.3.2). Le conclusioni provano a immaginare possibili futuri scenari del processo di allargamento nell’area sulla base delle analisi presenti nel contributo.
Obiettivi e metodologia
Questo lavoro analizza l’orientamento di voto della regione balcanica, una periferia dell’Unione Europea non del tutto integrata politicamente ma con un avanzato livello di integrazione economica (Bechev, 2012). Un’area periferica che, con l’eccezione della Slovenia, si caratterizza per livelli di reddito, istruzione, composizione del tessuto produttivo assai più deboli se paragonati al motore economico dell’Unione. Rispetto alle altre periferie economiche, già da tempo integrate politicamente nell’Unione, lo status, in alcuni casi decennale, di “paesi candidati” appare come determinante per configurare le fratture politiche a livello nazionale (Kriesi et al., 2006), depotenziando le retoriche sovraniste e nazionaliste – che pure evidentemente hanno un peso importante in un’area dilaniata da un lungo decennio di conflitti – in chiave anti-europea. Anche la distribuzione del voto all’interno delle singole nazioni balcaniche tra territori che “contano” e “non contano” – nell’accezione utilizzata da Rodríguez-Pose – va riconsiderata alla luce delle aspettative di crescita economica legate all’integrazione nell’UE, che possono ancora tenere insieme “centri” e “periferie” all’interno dei Balcani Occidentali. Un’ulteriore peculiarità sta nella forza di altri cleavage insiti nelle opinioni pubbliche dei singoli stati, innanzitutto quello su base etno-nazionalista nei territori che non hanno subito la tragica opera di omogeneizzazione etnica degli anni Novanta.
E’ senza dubbio vero che l’estenuante processo di integrazione ha indebolito il forte clima europeista, fenomeno registrato in maniera pressoché unanime dalle rilevazioni di opinione immediatamente dopo la crisi economica del 2008 (Gallup, 2009). Se questo processo di disillusione sembra favorito dal protagonismo di vecchie e nuove potenze nell’area balcanica – Russia, Turchia e Cina in primo luogo – dall’altro persiste e si rafforza l’idea di inevitabilità dell’allargamento dell’Unione Europea (Bechev, 2012) in larga parte dell’opinione pubblica e dei ceti dirigenti locali (Regional Cooperation Council, 2020).
L’obiettivo del lavoro è quindi quello di provare a descrivere il quadro politico dei Balcani Occidentali alla luce dei risultati degli ultimi appuntamenti elettorali che, in buona parte dei paesi della regione, si sono svolti durante l’emergenza sanitaria. In primo luogo si intendono verificare alcune caratteristiche del comportamento elettorale, in riferimento sia alla partecipazione al voto sia alla frammentazione del consenso tra proposte politiche differenti.
La parte centrale dello studio si focalizza, quindi, nel cogliere la relazione tra l’orientamento di voto recente e le sorti del percorso di integrazione europea nell’area. A tal fine, le chiavi di lettura utilizzate sono fondamentalmente due: la prima riguarda gli orientamenti di voto sulla base delle affiliazioni delle singole forze politiche nazionali alle grandi famiglie europee con l’obiettivo di cogliere la forza dei movimenti dichiaratamente euroscettici e di rilevare parallelamente la solidità dei legami con i gruppi che invece compongono la grande coalizione che guida da tempo il processo di integrazione a livello comunitario. Si tratta di un’analisi che, se da un lato ha una indubbia utilità nel “mappare” le reti che le famiglie politiche comunitarie hanno stabilito nella regione, dall’altro può non tenere conto dell’ambiguità delle posizioni di singole forze politiche – appartenenti ad una famiglia “europeista” ma portatrici di discorsi più critici a livello nazionale[2]. Alla lettura per affiliazioni viene così affiancata una tipologia dei movimenti politici nell’area rispetto alla questione dell’integrazione nell’UE sulla base sia di tassonomie già realizzate, sia della conoscenza del quadro politico locale.
I dati relativi al voto si riferiscono esclusivamente alle elezioni per il rinnovo dei Parlamenti nazionali e si limitano all’ultima tornata per ciascun paese, con un confronto per serie storica che si ferma prevalentemente all’appuntamento elettorale precedente. Sono state prese in considerazione tutte le forze politiche il cui livello di consenso è stato ritenuto significativo in base ad un valore soglia dell’1% dei voti validi.
Descrizione comparativa del ciclo elettorale 2018-2021
Partecipazione al voto e Frammentazione
L’analisi dei dati relativi alle tornate elettorali che hanno riguardato i paesi della regione permettono di avanzare delle ipotesi su alcuni significativi temi come i livelli di partecipazione, la frammentazione elettorale e il peso delle singole forze politiche analizzate in base alla loro affiliazione alle grandi famiglie politiche europee.
Il primo dato tenuto in considerazione è quello che si riferisce alla partecipazione al voto dei cittadini. I risultati confermano un tendenziale sentimento di apatia dell’opinione pubblica dei Balcani Occidentali agli appuntamenti elettorali. La regione si configura, infatti, come un’area con bassa partecipazione al voto (Fig. 1), con l’eccezione significativa del Montenegro dove l’affluenza alle ultime elezioni legislative svoltesi nell’ottobre 2020 ha raggiunto il 76,6%, il dato più alto di tutta la regione. In tutti gli altri paesi, pur tenuto in considerazione le condizioni assai divergenti in termini di sistemi elettorali e condizioni di competizione, l’affluenza non ha mai superato il 55%, con i risultati peggiori registrati in Croazia (46,4%) e Albania (46,3%). Confrontando questi dati con quelli dei principali paesi dell’Unione Europea[3] emerge un ampio gap di partecipazione: solo Romania (31,8%) e Portogallo (48,6%) presentano infatti quote di partecipazione assimilabili a quelle balcaniche, mentre paesi con livelli di reddito elevati e una più consolidata tradizione democratica mantengono un’elevata affluenza (Belgio 90%; Svezia 87,1%; Paesi Bassi 78,7%).
Fig 1: Partecipazione al voto elezioni legislative: paesi Balcani Occidentali e principali paesi UE. Ultima tornata.
I motivi del basso livello di mobilitazione dell’elettorato nell’area sembrano essere legati da un lato a variabili di lungo periodo, quali una debole e recente tradizione di tornate elettorali competitive e una sfiducia nell’accidentato percorso di transizione politico-economica, dall’altro lato a fattori quali la polarizzazione dell’opinione pubblica legata a fratture di tipo identitario/etnico o l’estrema personalizzazione del consenso.
In un caso, entrambi questi ultimi aspetti hanno influenzato notevolmente l’ultima tornata elettorale. Si tratta del Montenegro dove lo scontro, causato da una legge sulle proprietà religiose, tra la Chiesa Ortodossa Serba (e più in generale l’ampia minoranza serba pari a circa il 30% della popolazione) e il presidente Milo Đukanović ha giocato un importantissimo ruolo nel favorire la vittoria delle opposizioni dopo trent’anni di governo del Partito Democratico dei Socialisti (DPS). Proprio questo aspetto, la forte personalizzazione non solo del partito di governo ma dell’intero apparato statale, è stato l’altro elemento determinante tanto per l’affluenza al voto quanto per i risultati finali che hanno visto la vittoria di misura di una coalizione composta da partiti filo-serbi vicini alla Russia e partiti europeisti, accomunati da un unico obiettivo: porre fine alla “cattura dello Stato” operata negli ultimi tre decenni da Đukanović (Bieber, Marovic 2020, SELDI 2020).
L’altro paese in cui si è votato recentemente e che ha visto una crescita della partecipazione è il Kosovo in cui si è consumato un duro scontro tra i partiti tradizionali, i cosiddetti “partiti di guerra” (PDK, LDK, AAK), e la “giovane guardia” rappresentata dal premier Albin Kurti (46 anni), leader del partito della sinistra nazionalista Vetëvendosje!, e dalla nuova presidente della Repubblica Vjosa Osmani (38 anni).
Un elemento che sicuramente ha influenzato la partecipazione al voto è l’emergenza sanitaria causata dalla pandemia. Questa ha contribuito a una riduzione dell’affluenza in Macedonia del Nord e in Croazia (Santana, Rama, Casal Bértoa, 2020), mentre ha avuto un impatto minore in altri contesti. In Serbia, ad esempio, il calo della partecipazione, in un quadro assai problematico in merito alla regolarità delle elezioni, è da attribuire prioritariamente al boicottaggio operato dalle opposizioni.
Se i livelli di partecipazione risultano tendenzialmente omogenei, lo stesso non si registra circa la frammentazione elettorale all’interno della regione e, nel caso bosniaco, all’interno dello stesso paese[4]. In Slovenia e nella Federazione croato-musulmana di Bosnia Erzegovina le ultime elezioni hanno certificato la presenza di un sistema ad elevata dispersione. Nel primo caso il partito di maggioranza relativa (Partito Democratico Sloveno, SDS), che esprime il primo ministro Janez Janša, sfiora un quarto dei consensi (24,9%) ed è affiancato da altre otto forze politiche che sono riuscite ad accedere alla rappresentanza parlamentare nel 2018. Nel secondo caso, la dispersione del voto è anche frutto della contestuale presenza di partiti etnici espressione delle comunità croate (HDZ 14,7%; HDZ-1990 2,9%) e bosgnacche (SDA 25,5%; SBB BIH 6,8%) e partiti prevalentemente multietnici (SDP 14,2%; DF 9,7%; NS 4,9%; Indipendent Bloc 4,2%). Indicativa in tal senso è la minore frammentazione registrata nella Republika Srpska, l’altra entità che compone la Bosnia Erzegovina, dove sono pressoché ininfluenti le forze politiche espressione delle minoranze non-serbe.
Un livello assai contenuto di dispersione del voto si registra in Serbia, il cui dato va tuttavia interpretato alla luce del boicottaggio delle opposizioni e di una evidente minore competizione elettorale. Nel parlamento di Belgrado, nonostante l’abbassamento della soglia di sbarramento dal 5% al 3% dei voti validi, oltre alle forze espressione delle minoranze vi sono solo 3 partiti: il Partito Progressista Serbo, SNS, del premier Aleksandar Vučić; il Partito Socialista Serbo, SPS; l’Alleanza Patriottica Serba, SPAS.
Fig.2: Indice di frammentazione elettorale[5], ultime elezioni legislative Balcani Occidentali
In tutti gli altri paesi resiste, seppur a fatica come nel caso della Croazia, un sistema sostanzialmente bipolare, con le due principali forze politiche che insieme raccolgono tra il 62% (Croazia) e l’88,1% (Albania) dei voti validi. All’interno di questo gruppo di paesi emerge il dato kosovaro, con la vittoria “fuori misura” del partito Vetëvendosje! (50,3%).
Appartenenza alle famiglie politiche europee
L’analisi dell’orientamento di voto per affiliazione alle famiglie politiche europee durante l’ultimo ciclo elettorale lascia intravedere alcune tendenze chiare e comuni a tutta l’area ed altre che necessitano un approfondimento caso per caso.
Va rilevata innanzitutto la scarsa capacità di penetrazione delle famiglie europee più dichiaratamente euroscettiche (AENM e ID[6]) nella regione. Solo in un caso partiti affiliati a questi due gruppi sono riusciti a ottenere rappresentanza parlamentare: si tratta del Partito Nazionale Sloveno (SNS) che, alle elezioni del 2018, ha raccolto poco più del 4%. In tutti gli altri Stati al voto non vi sono forze che hanno legami strutturati con i movimenti apertamente contrari al processo di integrazione europea. La gran parte dell’elettorato si orienta infatti verso forze che sono associate – secondo diversi gradi di “intensità” (Fig.3) – alle famiglie che hanno guidato negli ultimi decenni il Parlamento e sostenuto la Commissione Europea e cioè popolari, socialisti e liberali. Si tratta di un primo elemento che, seppur contrassegnato da alcune ambiguità, dà il quadro di una debolezza del discorso dichiaratamente anti-europeista nella regione.
Fig. 3: Percentuali di voto liste per affiliazione/adesione alle famiglie politiche europee[7]
In Albania, Macedonia del Nord e Kosovo le ultime elezioni legislative hanno assegnato la maggioranza relativa a partiti di matrice socialista/socialdemocratica. A Tirana, le elezioni dell’aprile 2021 hanno visto la vittoria netta del Partito Socialista del premier Edi Rama con il 48,68%; in Macedonia del Nord a trionfare è stata l’Unione Socialdemocratica Macedone (SDSM – 35,8%) del primo ministro Zoran Zaev, che ha guidato il difficile processo del cambio di nome del paese, in coalizione con l’altro movimento legato ai socialisti europei e rappresentante della minoranza albanese (Unione Democratica per l’Integrazione, DUI – 11,5%); a Pristina, infine, si è registrata la vittoria schiacciante della sinistra nazionalista di Vetëvendosje! con oltre la metà dei voti validi ottenuti (50,3%).
I partiti nazionali legati alla famiglia dei popolari europei si sono affermati in Croazia, con la vittoria dell’Unione Democratica Croata (HDZ), e in Serbia, con il Partito Progressista Serbo (SNS). Una significativa presenza di forze politiche legate al PPE si registra anche nelle due entità della Bosnia Erzegovina, nella Federazione con il Partito d’azione Democratica (SDA), HDZ BiH e HDZ 1990 che raccolgono complessivamente oltre il 43% dei voti e nella Republika Srpska con il Partito Democratico Serbo (SDS), il Partito del Progresso Democratico (PDP) e l’SDA (in totale oltre il 41%).
Presentano un significativo radicamento nella regione anche partiti legati alla tradizione liberale e centrista, soprattutto in Slovenia dove le forze politiche affiliate al gruppo Renew Europe raccolgono oltre il 32% dei consensi. Il gruppo dei Conservatori, rappresentati dall’European Conservatives and Reformists Group (ECR), ottiene discreti risultati in Kosovo con il Partito Democratico (PDK – 17%) e in Croazia dove i due partiti ad esso vicino[8], il Movimento per la Patria (DPMŠ) e Most, superano il 18% dei voti. I Conservatori risultano pressoché assenti nel resto della regione. Infine, da segnalare alcuni grandi partiti non allineati alle grandi famiglie europee perché fortemente euroscettici o perché legati ad altri poli geopolitici, come nel caso dell’Alleanza dei Socialdemocratici Indipendenti (SNSD) e dell’Alleanza Popolare Democratica (DNS) nella Republika Srpska (49,4% in totale) e di Nuova Democrazia Serba appartenente alla coalizione di governo “Per il futuro del Montenegro”.
Analizzando il posizionamento dei partiti nazionali rispetto al processo di integrazione europea (Fig.4) si può notare un’ampia maggioranza di forze politiche a esso apertamente favorevoli, a eccezione del Montenegro e della Republika Srpska in Bosnia Erzegovina. Nel primo caso, il dato è influenzato dal posizionamento filo-russo e populista di alcuni partiti della nuova maggioranza di governo, riuniti nelle coalizioni “Per il futuro del Montenegro” e “La pace è la nostra nazione”. Nonostante la loro vicinanza a Mosca però, una volta giunti al governo queste coalizioni si sono affrettate a ribadire che né il processo di adesione all’Unione Europea né l’adesione alla NATO, ottenuta nel marzo 2020, verranno messe in discussione dal nuovo esecutivo. L’euroscetticismo di parte del governo guidato da Zdravko Krivokapić sembra quindi non dover incidere concretamente nella politica estera di Podgorica. In parte diverso invece il discorso che riguarda la Republika Srpska, l’entità a maggioranza serba della Bosnia Erzegovina. Qui, le forze fortemente euroscettiche rappresentano la stragrande maggioranza dell’elettorato (78,4%). Il dato è sicuramente influenzato dalla presenza di un grande partito, l’Alleanza dei Socialdemocratici Indipendenti (SNSD) di Milorad Dodik (39,1%) da sempre vicino al Cremlino e fortemente critico verso la politica dell’Unione Europea. A questo si aggiunge l’euroscetticismo delle due altre grandi forze politiche: il Partito Democratico Serbo (SDS – 24,3%) e l’Alleanza Popolare Democratica (DNS – 10,3%).
Fig.4: Percentuali di voto liste per posizione relativa al processo di integrazione europea[9].
I paesi che mostrano invece un più netto sentimento di entusiasmo nei confronti dell’UE sono, paradossalmente, proprio quelli che hanno ricevuto le delusioni più recenti nel rapporto con Bruxelles: la Macedonia del Nord (96,4%) e l’Albania (97,2%). In entrambi i casi il dato conferma l’evidente volontà di avviare le negoziazioni per l’adesione con l’applicazione di importanti riforme, come quella giudiziaria nel caso dell’Albania, o con il raggiungimento di uno storico accordo con la Grecia sul cambio di nome del paese per quanto riguarda la Macedonia del Nord.
Conclusioni
Il decennio appena concluso è stato sicuramente uno dei più complicati per l’Unione Europea. L’onda lunga della crisi economica scoppiata nel 2008 ha posto una serie di sfide epocali, sia in politica interna che in quella estera. In tal senso, il percorso di allargamento ad Est, la cui ultima adesione risale al luglio del 2013 con l’ottenimento della membership da parte della Croazia, ha subito diverse battute d’arresto. La precedente Commissione, guidata da Jean-Claude Juncker, aveva bloccato sul nascere qualsiasi ipotesi di accettazione di nuovi membri nel consesso europeo. Il superamento parziale della crisi economica e di quella politica interna all’Unione non ha prodotto però un cambio di rotta sull’allargamento. La nuova Commissione Von der Leyen ha dovuto fare i conti con l’opposizione di paesi come Francia e Bulgaria che, per motivi diversi, hanno bloccato l’avvio delle negoziazioni con Albania e Macedonia del Nord. Complessivamente il percorso di integrazione continua a soffrire di quella che viene chiamata dagli analisti “fatica di allargamento”.
Come emerge da questo lavoro, questa fatica sembra coinvolgere più l’Unione stessa che le opinioni pubbliche dei Balcani Occidentali. Dai dati sul voto relativo alle ultime tornate elettorali emerge infatti un ruolo secondario, a eccezione di alcuni significativi casi, delle forze politiche legate a movimenti transnazionali dichiaratamente euroscettici. Questo si è tramutato in un consenso elettorale diretto maggiormente verso i partiti legati alle due grandi famiglie europee, socialisti e popolari, o, al limite, verso forze politiche critiche ma non per questo apertamente antieuropeiste. Complessivamente, affiancando al dato sul voto quello registrato dal già citato Balkan Barometer 2020, permane tra le opinioni pubbliche dei Balcani Occidentali un forte sostegno verso l’adesione all’Unione Europea, dopo anni di calo conseguente alla crisi economica del 2008.
Le uniche “anomalie”, come visto, si registrano nella Republika Srpska e in Montenegro, dove però il posizionamento della composita coalizione di governo non rischia di compromettere il percorso europeo del paese. Altro caso particolare è quello della Serbia. Belgrado ha aperto le negoziazioni con Bruxelles nell’ormai lontano 2014. Da allora il rapporto tra le parti ha vissuto fasi altalenanti, legate soprattutto alle divergenze sul processo di normalizzazione dei rapporti con il Kosovo e al mancato allineamento della Serbia alla politica estera dell’Unione. Il presidente Vučić si è infatti fatto sostenitore di una politica dichiaratamente multilaterale mantenendo l’obiettivo dell’adesione come orizzonte privilegiato ma senza rinnegare i forti rapporti di amicizia con due competitor europei: la Russia di Vladimir Putin e la Cina di Xi Jinping. Serbia e Republika Srpska in Bosnia Erzegovina sembrano tuttavia le uniche aree che, con intensità diversa, presentano maggiori dubbi sul processo di adesione europea. Tutti gli altri governi della regione continuano invece a considerare l’allargamento come l’unica prospettiva politica praticabile.
Le sfide principali per il futuro della politica europea nei confronti dei Balcani Occidentali provengono quindi dalla capacità stessa dell’Unione di presentarsi come un partner credibile e affidabile. L’attuale vicenda legata ai vaccini contro il Coronavirus rappresenta, in tal senso, un terreno di confronto particolarmente delicato. Nonostante un primo sostegno economico destinato ai partner balcanici per l’acquisto dei vaccini, l’Europa si è dimostrata quasi del tutto indifferente alla necessità di una campagna di massa appena oltre i suoi confini politici. In Albania, Macedonia del Nord, Kosovo e Montenegro l’avvio delle vaccinazioni è arrivato con oltre tre mesi di ritardo rispetto a quella lanciata a fine dicembre nei paesi membri. Un vuoto ricoperto dai competitor europei con il supporto della Serbia. Belgrado infatti, potendo disporre sia del vaccino russo Sputnik V che di quello cinese Sinopharm, ha provato a ritagliarsi il ruolo di “paese guida” della regione inviando decine di migliaia di dosi ai paesi limitrofi o permettendo ai cittadini degli altri Stati di vaccinarsi in territorio serbo.
Il futuro dell’allargamento sembra quindi dipendere dalle scelte che verranno adottate dalle istituzioni europee e dai singoli paesi membri. Alla determinazione di queste scelte contribuiranno sicuramente i prossimi passaggi elettorali previsti in Stati chiave come Germania e Francia. Berlino è sempre stata uno dei principali sponsor dell’integrazione dei Balcani Occidentali sia per interessi economici, la Germania è infatti tra i primi partner commerciali di tutti i paesi dell’area, sia per interessi geostrategici. Il ritiro dalla politica già annunciato dalla cancelliera Angela Merkel avrà ripercussioni importanti sugli equilibri interni al Bundestag e, di conseguenza, sulla politica estera della “locomotiva d’Europa”. Dall’altro lato Parigi, negli ultimi anni tra i paesi più contrari a ulteriori allargamenti come dimostrato dal veto posto dal presidente Emmanuel Macron nell’ottobre 2019. La prossima tornata elettorale in Francia è prevista per il 2022. I sondaggi danno, ad oggi, buone possibilità di vittoria al Rassemblement National di Marine Le Pen. Un’eventuale vittoria delle destre rappresenterebbe un ulteriore ostacolo al percorso di integrazione e alle già deboli speranze di allargamento in un futuro prossimo. Il ruolo dell’Italia, altro grande paese leader dell’UE da sempre favorevole all’ingresso dei paesi balcanici in Europa, potrebbe risultare non determinante come già spesso accaduto negli ultimi anni. A completare un quadro caratterizzato da incertezza e difficoltà concorre un altro elemento i cui effetti si manifesteranno nei prossimi anni: la Brexit. L’uscita del Regno Unito infatti ha posto più di un dubbio sulla reale capacità di attrazione dell’Unione e sulla tenuta stessa di un sistema composto già da 27 stati membri.
Confermata quindi la volontà delle opinioni pubbliche dei Balcani Occidentali – o almeno una non diffusa ostilità – nel procedere nel percorso di adesione, il futuro dell’allargamento passerà per l’efficacia della politica estera dell’Unione: sia a livello economico, con la necessità di garantire un sostegno adeguato ai propri partner e una sempre maggiore integrazione nel sistema europeo, sia a livello politico, stimolando un processo di democratizzazione non del tutto completato e contribuendo a neutralizzare possibili ulteriori derive autoritarie di alcuni leader regionali.
Bibliografia
- Bakker R. et al., 2019 Chapel Hill Expert Survey. Version 2019.1, University of North Carolina, Chapel Hill (NC), 2019.
- Bechev D., The periphery of the periphery: the western balkans and the euro crisi, European Council of Foreing Relations – Policy Brief, 2012.
- Bieber F., Marovic J., Seizing the democratic opportunity in Montenegro, European Politics and Policy London School of Economics., 2020.
- Commissione europea, EU Candidate Countries’ & Potential Candidates’ Economic Quarterly (CCEQ). 4th Quarter 2020, Technical Paper 46, gennaio 2021.
- Commissione europea, EU response to the coronavirus pandemic in the Western Balkans, Brussels, 2020.
- Consiglio europeo, Special meeting of the European Council – 17-21 July 2020. Conclusions, Bruxelles, 2020.
- Fruscione G., The Virus of Authoritarianism: The Case of Serbia, in Fruscione G. (a cura di), The Pandemic in the Balkans: Geopolitics and Democracy at Stake, ISPI, Milano, 2021.
- Gallup, Gallup Balkan Monitor, Focus On: Perceptions of the EU in the Western Balkans, 2009.
- Kriesi H., Grande E., Lachat R., Dolezal M., Bornschier S., Frey T., Globalization and the transformation of the national political space: Six European countries compared, «European Journal of Political Research», vol. 45, n. 6, 2006.
- Laakso M., Taagepera R., Effective Number of Parties, «Comparative Political Studies», n. 12, 1979.
- Prelec T., FDI in the Balkans: The Good, the Bad and the Ugly, in Fruscione G. (a cura di), The Balkans: Old, New Instabilities. A European Region Looking For Its Place In The World, ISPI, Milano, 2020.
- Regional Cooperation Council, Balkan Barometer 2020: Public Opinion Analitical Report 2020, 2020.
- Rodríguez-Pose A., The revenge of the places that don’t matter (and what to do about it), «Cambridge Journal of Regions, Economy and Society», vol. 11, n. 1, 2017.
- Santana A., Rama J., Casal Bértoa F., The Coronavirus Pandemic and Voter Turnout: Addressing the Impact of Covid-19 on Electoral Participation, pre-print pubblicato su SocArxiv, 2020.
- SELDI, State Capture Assessment Diagnostics in the Western Balkans 2020: Risks and Policy Options, Southeast Europe Leadership for Development and Integrity, 2020.
Note
[1] Il toponimo “Balcani Occidentali” si riferisce generalmente ai paesi della regione che non sono ancora diventati membri dell’Unione Europea (Serbia, Bosnia Erzegovina, Kosovo, Montenegro, Macedonia del Nord e Albania), escludendo quindi, rispetto al più generico “Balcani”, la Slovenia e la Croazia.
[2] Come nel caso del Partito Progressista Serbo del presidente serbo Aleksandar Vučić che da un lato dichiara di voler proseguire nel percorso di adesione europea, dall’altro intrattiene rapporti sempre più stretti con la Cina e con quelle forze politiche “eurocritiche” come il partito ungherese FIDESZ del premier Viktor Orban, recentemente espulso dal PPE.
[3] I paesi utilizzati per il confronto a livello continentale sono stati selezionati sulla base di un criterio dimensionale includendo i paesi membri dell’UE con una popolazione residente al 2019 superiore ai 10 milioni di abitanti.
[4] La Bosnia Erzegovina presenta un sistema elettorale particolarmente complesso data l’esistenza di due entità con ampi margini di autonomia amministrativa e politica, la Republika Sprska a maggioranza serba e la Federazione di Bosnia Erzegovina che include croati e bosgnacchi (bosniaci musulmani). Alle due entità si aggiunge un livello federale composto da una presidenza tripartita, con un rappresentante per ogni comunità, e un parlamento formato da due camere, la Camera dei Rappresentanti e la Camera dei Popoli.
[5] Per misurare la frammentazione elettorale viene utilizzato l’indice elaborato da Laakso e Taagepera (1979).
[6] L’Alliance of European National Movements (AENM) raggruppa partiti dichiaratamente nazionalisti o di estrema destra, in alcuni casi con riferimenti espliciti alla tradizione neo e post-fascista. Identità e Democrazia raggruppa i principali movimenti sovranisti europei, tra cui la Lega
[7] Il metodo di assegnazione di ciascuna forza politica alla famiglia europea corrispondente è stato effettuato sia attraverso una ricerca su siti ufficiali dei partiti, gruppi parlamentari europei, sia attraverso la tassonomia presentata da Europe Elects (europelects.eu)
[8] Queste due forze infatti non sono al momento associate ufficialmente al gruppo dei Conservatori Europei, tuttavia hanno già espresso l’intenzione di aderirvi.
[9] Il posizionamento delle singole forze politiche rispetto al topic dell’integrazione nell’Unione Europea è rilevato dal lavoro realizzato da Bakker et al. (2019).