Gli esseri umani sono narratori: le storie che raccontiamo hanno profonde implicazioni su come vediamo il nostro ruolo nel mondo, e la narrativa distopica continua a crescere in popolarità. Secondo Goodreads.com, una comunità online che ha raggiunto i 90 milioni di lettori, la quota di libri categorizzati come “distopici” nel 2012 era la più alta da più di cinquant’anni. Il boom sembra aver avuto inizio dopo gli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001 agli Stati Uniti. La quota di storie distopiche è schizzata alle stelle nel 2010, quando le case editrici facevano a gara a capitalizzare il successo dei romanzi di Hunger Games (2008-2019), l’avvincente trilogia di Suzanne Collins su una società totalitaria “sulle rovine di quello che un tempo era stato il Nord America”. Cosa dovremmo farcene di questa popolarità della narrativa distopica?
È stato speso molto inchiostro per esplorare perché queste narrazioni sono così attraenti. Ma un’altra domanda importante è: e quindi? La narrativa distopica potrebbe influenzare i nostri orientamenti politici nel mondo reale? Se sì, come? E quanto dovremmo preoccuparci di questo suo impatto? Nella nostra ricerca, abbiamo cercato di rispondere a queste domande attraverso una serie di esperimenti.
Prima di iniziare, sapevamo che molti scienziati politici sarebbero stati probabilmente scettici. Dopotutto, sembra improbabile che la fiction – qualcosa che sappiamo essere un’invenzione – possa essere capace di influenzare le prospettive delle persone nel mondo reale. Tuttavia, un crescente corpus di ricerche mostra che non esiste un solido interruttore nel cervello che controlla il passaggio dalla fiction alla realtà. Le persone spesso introiettano nelle loro credenze, attitudini e giudizi di valore lezioni provenienti da storie di fiction, a volte senza nemmeno esserne coscienti.
La narrativa distopica, inoltre, è probabilmente particolarmente potente perché intrinsecamente politica. Qui ci focalizziamo sul genere totalitario-distopico, che mette in scena un mondo alternativo cupo e inquietante in cui potenti entità agiscono per opprimere e controllare i cittadini, violando sistematicamente i valori fondamentali. (Se le narrazioni post-apocalittiche, comprese quelle sugli zombie, possono anche essere considerate “distopiche”, l’ambientazione standard è politicamente molto diversa, ponendo l’accento sul caos e sul collasso dell’ordine sociale, e quindi è probabile che influiscano sulle persone in modi diversi).
Certo, le trame delle storie totalitarie-distopiche sono molto varie. Per limitarsi ad alcuni esempi popolari, in 1984 (1949) di George Orwell troviamo la tortura e la sorveglianza di massa; nella serie Unwind (2007) di Neal Shusterman troviamo il prelievo di organi; la serie Brutti (2005-2007) di Scott Westerfeld prevede la chirurgia plastica obbligatoria; in The Giver – Il donatore di Lois Lowry (1993) c’è il controllo mentale; nel romanzo di Margaret Atwood Il racconto dell’ancella (1985) la disuguaglianza di genere; nella trilogia Matched – La scelta (2010-2012) di Ally Condie i matrimoni organizzati dal governo; nella serie Maze Runner (2009-2016) di James Dashner il disastro ambientale. Ma tutte queste narrazioni sono conformi alle convenzioni del genere distopico per quanto riguarda i personaggi, l’ambientazione e la trama. Come hanno osservato Carrie Hintz ed Elaine Ostry, curatrici del volume Utopian e Dystopian Writing for Young Children and Adults (2003), in queste società “gli ideali di miglioramento sono finiti tragicamente fuori controllo”. Sebbene esistano eccezioni, la narrativa distopica in genere valorizza la ribellione drammatica e spesso violenta di un manipolo di coraggiosi.
Per testare l’impatto della narrativa distopica sugli orientamenti politici, abbiamo randomizzato in tre gruppi i soggetti provenienti da un campione di americani adulti. Il primo gruppo ha letto brani da Hunger Games e poi ha visto alcune scene dell’adattamento cinematografico del 2012. Il secondo gruppo ha fatto lo stesso, ma con una diversa serie distopica, Divergent di Veronica Roth (2011-18). La storia mette in scena un’America futuristica in cui la società è divisa in fazioni ciascuna con distinte capacità; coloro le cui capacità sono trasversali tra le diverse fazioni sono visti come una minaccia. Nel terzo gruppo, quello di controllo, i soggetti non sono stati esposti a narrazioni distopiche prima di rispondere alle domande sui loro atteggiamenti sociali e politici.
Quel che abbiamo scoperto è sorprendente. Pur essendo invenzioni, le narrazioni distopiche influenzano i soggetti in modo profondo, ricalibrando i loro orientamenti morali. Rispetto al gruppo di controllo, i soggetti esposti alla fiction erano otto punti percentuali più propensi ad affermare che atti radicali come la protesta violenta e la ribellione armata possano essere giustificabili. Inoltre, concordano più facilmente sul fatto che la violenza è talvolta necessaria per ottenere giustizia (un aumento sempre intorno agli otto punti percentuali).
Perché la narrativa distopica ha questi effetti sorprendenti? Forse è all’opera un semplice meccanismo di innesco (priming). Le scene di azione violenta potrebbero aver facilmente innescato un’eccitazione tale da rendere i nostri soggetti più disposti a giustificare la violenza politica. I videogiochi violenti, per esempio, possono aumentare comportamenti aggressivi, e la fiction distopica spesso contiene immagini violente di ribelli che combattono contro il potere.
Per testare questa ipotesi, abbiamo condotto un secondo esperimento, sempre con tre gruppi, questa volta con un campione di studenti universitari da tutti gli Stati Uniti. Il primo gruppo è stato esposto a Hunger Games e, come prima, abbiamo incluso un secondo gruppo di controllo non esposto a media. Il terzo gruppo, invece, è stato esposto a scene violente dalla serie di film Fast and Furious (2001-), simili per lunghezza e tipologia alla violenza degli estratti presi da Hunger Games.
Ancora una volta, la narrativa distopica ha influenzato i giudizi etici delle persone. Ha aumentato la loro propensione a giustificare un’azione politica radicale rispetto al gruppo di controllo, e l’aumento è stato simile in ordine di grandezza a quello riscontrato nel primo esperimento. Ma le scene d’azione altrettanto violente e adrenaliniche di Fast and Furious non hanno avuto questo effetto. Le immagini violente da sole non possono spiegare le nostre scoperte.
Il nostro terzo esperimento ha investigato se un ingrediente chiave possa essere la proprio la narrazione, ossia una storia di cittadini coraggiosi che si scontrano con un governo ingiusto, che sia immaginario o reale. Pertanto, questa volta il nostro terzo gruppo ha letto e guardato estratti di media su una protesta nel mondo reale contro le pratiche corrotte del governo thailandese: video della CNN, della BBC e di altre fonti d’informazione che mostrano le forze governative in tenuta antisommossa usare tattiche violente come gas lacrimogeni e cannoni ad acqua per reprimere le masse di cittadini che protestano contro le ingiustizie.
Pur essendo reali, queste immagini hanno avuto uno scarso effetto sui soggetti. Quelli del terzo gruppo non si sono mostrati più disposti a giustificare la violenza politica rispetto al gruppo di controllo. Ma quelli esposti alla fiction distopica di Hunger Games erano significativamente più disposti a considerare legittimi atti politici radicali e violenti, rispetto ai soggetti esposti alla cronaca del mondo reale. (La differenza era di circa 7-8 punti percentuali, paragonabile ai due esperimenti precedenti). Nel complesso, quindi, sembra che le persone possano essere più inclini a trarre “lezioni di vita politica” da una storia di un mondo politico immaginario piuttosto che da un reportage basato sui fatti del mondo reale.
Questo significa che la fiction distopica è una minaccia per la democrazia e la stabilità politica? Non necessariamente, anche se il fatto che a volte sia censurata suggerisce che alcuni leader la pensano in questo modo. Ad esempio, La fattoria degli animali (1945) di Orwell è ancora vietato in Corea del Nord, e anche negli Stati Uniti i 10 libri più frequentemente rimossi dalle biblioteche scolastiche nell’ultimo decennio sono Hunger Games e Il mondo nuovo (1931) di Aldous Huxley. La lezione che le narrazioni distopiche offrono è che l’azione politica radicale può essere una risposta legittima verso un’ingiustizia percepita. Tuttavia, le lezioni che le persone apprendono dai media, sia che si tratti di fiction che di storie reali, potrebbero non essere sempre valide e, anche quando lo sono, non necessariamente le persone agiscono di conseguenza.
La narrativa distopica continua a offrire una potente lente attraverso la quale le persone leggono l’etica della politica e del potere. Tali narrazioni potrebbero avere un effetto positivo nel mantenere i cittadini consapevoli verso possibili ingiustizie in molti contesti diversi, dal cambiamento climatico all’intelligenza artificiale fino alle crescenti derive autoritarie nel mondo. Ma una proliferazione di narrazioni distopiche potrebbe anche incoraggiare prospettive radicali e manichee che semplificano eccessivamente le più concrete e complesse fonti di disaccordo politico. Per cui, se da un lato la mania totalitaria-distopica potrebbe alimentare la propensione della società a spingere chi detiene il potere a rendere conto del proprio operato, dall’altro potrebbe anche rappresentare per alcuni una corsia preferenziale che porta alla retorica politica violenta, e persino all’azione, in contrapposizione al dibattito basato sui fatti e al compromesso civile necessario per far prosperare la democrazia.
Questo articolo è stato pubblicato in origine su Aeon.co.
Si molto controverso questo nuovo aspetto che viviamo dopo L Emergenza ,che invece per molti non è assolutamente finita
A me sembra molto piû verosimile la thesi di Huxley , anche se la violenza purtroppo fa ancora parte del nostro contemporaneo!